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Due spettri si aggirano per la Terra nel XXI secolo: gli spettri della catastrofe ecologica e dell’automazione.
Apparecchiare il tracciato
Quattro modelli di futuro è un testo essenzialmente politico, nella misura in cui ci interroga direttamente su quale forma vorremmo che avesse il futuro delle nostre società.
Un breve saggio che nasce da un esercizio di complessità, un esempio di quella riattualizzazione del discorso politico che mi mette sempre grande entusiasmo. Quello che fa Frase è riprendere un tema centrale del Novecento e non solo, ovvero quello che oppone la gerarchia all’uguaglianza negli stati e nelle società, producendo opposizioni come destra / sinistra, capitalismo / socialismo reale, liberismo / welfare state, merito / mutualismo. A questo asse di analisi ne aggiunge un secondo, che scaturisce dal presente e si fa sempre più dirimente ogni volta che proviamo a pensare al futuro. È l’asse delle possibili risposte alla domanda: quali e quante risorse avremo a disposizione nelle nostre società?
Dall’intersezione tra un tema classico e questa preoccupazione ancora politicamente poco frequentata, Frase disegna un nuovo terreno di analisi delle possibilità del futuro. Ai quattro estremi ideali di questo nuovo e più complesso campo andrà a collocare i suoi quattro modelli di futuro.
Rispetto al political compass, con cui ha una certa somiglianza formale, lo schema di Frase dà apparentemente meno spazio all’armamentario ideologico (conservatorismo / progressismo che il political compass chiama authoritarian / libertarian – sic!), mentre espande le categorie di destra e sinistra economica.
La riflessione di Frase, infatti, si colloca nell’orizzonte del materialismo marxiano (v.d. incipit): come distribuiamo le risorse e quante ne abbiamo sono entrambe variabili di natura economica. Quello che aggiunge è l’intuizione che oggi non si può solo pensare all’economia in termini di distribuzione di risorse, ma si deve considerare la possibilità che ci potrà essere troppo o troppo poco da distribuire.
Sull’automazione come direttrice dei futuri
La quantità di risorse da distribuire dipende da due processi differenti: il collasso ecologico e l’automazione. Mentre del primo vediamo bene tanto i rischi quanto le eventuali potenzialità, legati rispettivamente al protrarsi o al mutare di un preciso modello economico, l’automazione sembra non richiedere una direzione, né forse una riflessione, a livello politico.
Già J.M. Keynes metteva in relazione l’automazione con la disoccupazione tecnologica prevedendo una forma un po’ utopica di “società del tempo libero”. Oggi le posizioni nei confronti dell’automazione si sono ampliate, abbracciando quelle più radicali degli accelerazionisti e di Fully Automated Luxury Communism (FALC), fino a quelle moderate, per esempio di Ocasio-Cortez.
In generale l’immaginario dell’automazione rimane legato a corse in avanti e magnifiche sorti e progressive, oppure a “banali tragedie” del contemporaneo, come la gestione della disoccupazione tecnologica (che, come fa notare Greenfield colpirà duramente i lavoratori non qualificati e i ceti inferiori molto prima di rappresentare un vantaggio per l’intera società).
Ritornando a Frase, i suoi modelli non approfondiscono né l’utopia del FALC né le problematiche concrete della disoccupazione tecnologica, ma mettono in evidenza che la distanza tra l’uno e l’altra è fatta di precise decisioni politiche e sociali. Solo perché il FALC è possibile non significa che arriverà: potremmo non avere le risorse materiali o concettuali per realizzarlo. Le macchine che ci daranno l’utopia sono le stesse che ci toglieranno i mezzi di sussistenza in società meritocratiche senza mutualismo.
Per me, quindi, delineare futuri multipli rappresenta un tentativo di lasciar spazio al politico e al contingente. Il mio intento non è sostenere che un futuro comparirà automaticamente grazie al magico funzionamento di fattori tecnici ed ecologici giunti dall’esterno. Quello che piuttosto intendo ribadire è che sarà l’esito di una lotta politica a determinare la direzione che prenderemo. L’intersezione tra fantascienza e politica di questi tempi è spesso associata alla destra libertaria e alle sue fantasie deterministiche tecnoutopiche; vorrei rivendicare la lunga tradizione della sinistra di mescolare la speculazione immaginaria con l’economia politica.
I quattro futuri
I quattro futuri sono appunto degli abbozzi che aprono uno spazio di azione politica tramite la condivisione di un immaginario. In realtà la parola “modelli” nella traduzione italiana può essere fuorviante perché evoca una costruzione teorica. Il metodo di Frase invece si rifà alla fiction speculativa: una social science fiction che gli permette di creare immagini che azionano un gesto politico concreto.
Per questa ragione Frase non si limita a descrivere in maniera organica le strutture che caratterizzano ciascuno dei suoi quattro scenari. Invece sceglie una tematica saliente, un problema, che funge da punto d’ingresso per la concretezza di un mondo complesso e non discernibile nella sua totalità. La visione di ognuno dei quattro futuri parte da questo problema, nell’intreccio di complessità che definiscono il problema in quanto problema e il suo rapporto con la società in cui è inserito.
Nel loro sviluppo, spesso i modelli si ibridano e sfociano l’uno nell’altro. Lo stato di flusso in cui si trovano li vede alternarsi e convivere – tanto quanto si alternano e convivono nel nostro presente i problemi che li sottendono.
Socialismo: uguaglianza e scarsità
Quando bisogna vivere con i mezzi a disposizione offrendo a tutti la miglior vita possibile…
Ovvero la necessità di massimizzare il benessere collettivo di fronte a situazioni di scarsità dovute a crisi ambientali, guerre o altro.
Su questo modello si costruisce la ben nota società dei Puffi, con uno stile di vita semplice che li tiene in continua relazione con i propri bisogni materiali e sociali.
Quali che siano le cause della scarsità, per farle fronte Frase sottolinea la necessità di riavvicinarci alle “nature non umane”, dove comunque:
Qualsiasi tentativo di conservare il clima o gli ecosistemi o le specie viene intrapreso perché risponde alle necessità e ai desideri degli esseri umani, che si tratti di sostentarci direttamente o di preservare elementi del mondo naturale che migliorano la qualità delle nostre vite.
L’incombenza materiale e il dovere morale di questo riavvicinamento generano un’apparente contraddizione nel rapporto tra umano e non umano, un terreno fertile teorico e pratico per le ecological humanities di autorȝ come Donna Haraway e Bruno Latour, e per la costruzione di paesaggi e narrazioni come quelli del Solarpunk.
Comunismo: uguaglianza e abbondanza
Una società in cui il conflitto non si basa più sull’opposizione tra lavoratori salariati e capitalisti o sulle lotte per accaparrarsi risorse sempre più scarse. È un mondo in cui non tutto si riduce al denaro.
Qui il dispiegamento dell’automazione porta a una riduzione del valore economico delle cose e a una ridefinizione di cosa dà loro valore, permettendo il fiorire di alternative. Questo processo presuppone una dichiarata intenzione politica collettiva. A differenza del socialismo, il comunismo rappresenta il modello estremo di una società che non deve più occuparsi dei suoi bisogni materiali primari, e sceglie di rendere tuttȝ partecipi della libertà ottenuta.
Frase vede nell’universo di Star Trek un esempio di questo mondo. E lo lega alla volontà politica di ricercare – che è anche già creare – una vita e dei valori oltre il capitalismo e l’individualismo.
Renditismo: gerarchia e abbondanza
Un sistema in cui [molti] siano al servizio [di pochi], anche se questo sistema, dal punto di vista puramente produttivo, è del tutto superfluo.
Tra i modelli, il renditismo è quello di cui si vede più chiaramente la tendenza, soprattutto negli sviluppi dell’economia del decennio scorso. L’affermarsi di grandi monopoli del prodotto digitale ha permesso loro di perseguire il passaggio dalla vendita a una rent economy di software e servizi su abbonamento (Spotify, Adobe e Microsoft 365 per intenderci). Questo modello economico non si basa più sull’accumulo di capitale attraverso la produzione di merci, ma sull’estrazione di rendite (rents) da una proprietà intellettuale attraverso il diritto d’autore.
Questo processo, portato al di fuori del solo digitale, ed estremizzando l’abbondanza di cui godono oggi alcune classi e alcune aree geografiche, definisce il renditismo. Non è una società dei servizi, ma un’estensione del controllo economico su tutti gli aspetti della vita.
Pertanto la forma della proprietà cambia, e persino un oggetto concreto come un trattore non è più un bene tangibile di proprietà del suo acquirente, ma soltanto un modello da concedere su licenza per un periodo di tempo limitato.
È quello che succede per esempio a Joe Chip, protagonista di Ubik di Philip K. Dick, quando i suoi elettrodomestici di marca, la macchina del caffè e perfino la porta di casa, esigono di essere pagati per funzionare.
Rispetto al comunismo, il renditismo risponde all’abbondanza non con il desiderio di condividerla, ma con l’impegno estremo di mantenere una disparità, sia pure creando beni immateriali e perfino inutili.
Sterminismo: gerarchia e scarsità
Un mondo in cui i poveri sono soltanto un pericolo e un fastidio.
[… Dove] Persone sufficientemente ricche e potenti da pensare di poter sfuggire anche agli scenari peggiori [ne impongono] i costi al resto della popolazione, fintanto che la nostra attuale struttura sociale resterà in piedi.
Anche lo sterminismo emerge da tendenze che sono già visibili nelle nostre società. In un sistema in cui le risorse sono distribuite in modo diseguale per classe, razza, genere ecc., la scarsità è percepita come una minaccia al mantenimento di queste gerarchie più che un problema in sé.
Il cambiamento climatico come agente di scarsità non ha ancora tanto peso nelle nostre politiche, ne hanno invece le persone che si spostano a causa del cambiamento climatico, e alcuni esiti di questa visione sono già evidenti. Dalla creazione di enclave militarizzate, alla fuga multimiliardaria su Marte o nei bunker neozelandesi, alla calma accettazione della necessaria morte di chi resta indietro.
Lo scenario di un futuro in cui pochi opprimono molti ci è familiare grazie a narrazioni distopiche come Metropolis di Fritz Lang, Il racconto dell’Ancella di Margaret Atwood, In Time, Mad Max: Fury Road, Hunger Games e molte altre. Tuttavia, in un contesto di scarsità assoluta, le masse di forza lavoro che queste narrazioni mettono in scena diventano più pericolose per il loro consumare risorse che utili nel produrne.
Come anche altri futuri, lo sterminismo di Frase è in qualche modo instabile, perché la sua conseguenza estrema, ossia lo sterminio dei molti più poveri, potrebbe infine aprire ad altri imprevisti modelli.
Futuri contro futurismi
La domanda che sorge spontanea dopo essere entratȝ nei futuri con l’immaginazione e averli fatti entrare nel nostro mondo con gli elementi che già ne esistono, è la seguente: verso quale futuro stiamo tendendo?
Frase non dà una risposta univoca. Lo spazio di azione politica che ha disegnato è un tessuto con trama e ordito: i cambiamenti tecnologici ed ecologici acquistano realtà intrecciandosi con scelte politiche che ne determinano i risultati economici, sociali, culturali, eccetera.
Sarebbe un errore considerare questi futuri come necessari, l’esito di società che ne contengono già le cause e i presupposti, cioè pensare che un presente conduca a un solo futuro in un cortocircuito retroattivo. Questo pensiero non è politico e si chiama futurismo. Scrive Frase:
La fantascienza sta al futurismo come la teoria sociale alla teoria del complotto: un’impresa nel complesso più ricca, più onesta e più umile. In altri termini, è sempre più interessante leggere un resoconto che fa derivare il generale dal particolare (la teoria sociale) o il particolare dal generale (fantascienza), anziché tentare di andare dal generale al generale (futurismo) o dal particolare al particolare (complottismo).
Ancora più che comprendere le crisi attuali, a Frase interessa allontanare la (non) lettura futurista del futuro, e portarci a fare una scelta che ha e avrà un valore.
E dunque,
in quale futuro vuoi vivere?
Tengo ansia
Quando ti interpello e ti chiedo in quale futuro vuoi vivere, cosa provi? Come ti fa sentire l’idea di fare una scelta che cambierà la tua vita e può cambiare il mondo?
A me viene l’ansia. Sul serio, non voglio prendermi la responsabilità di decidere una cosa del genere. E neanche di ammettere che finora, pur non decidendo, ho comunque deciso. A differenza di Mark O’Connell, io non ho figliȝ: non no neanche un essere umano a cui rendere conto dello stato del mondo e del ruolo che vi ho giocato. Il mio sentimento verso il futuro è di pura ansia. Vorrei cambiare il mondo, ma vi prego convincetemi che è la cosa giusta da fare…
E poi, da dove iniziamo? Come convinciamo tutte le persone a collaborare? Chi non ha i mezzi per comprendere i modelli, per esempio non ha una certa educazione, non si sentirà mai chiamatə in causa per raggiungere l’obiettivo. E allora che facciamo?
Ecco, maneggiare i futuri di Frase può dare delle risposte. Il suo modello non è solo una costruzione teorica che incasella dei futuri astratti, ma è anche uno strumento di visualizzazione dei futuri, la candela che produce una scintilla emotiva. Lavorando con la cultura a partire da questa scintilla possiamo effettivamente creare qualcosa.
Raccontare una storia del futuro, come fa la fiction speculativa, è ciò che ci rende partecipi e accende una visione, un’impressione immediata, una risposta emotiva a uno scenario, che sia un trauma o un desiderio. Seppur breve, difficile da circondare di rituale collettivo, e ostacolata dal flusso continuo delle immagini mediali, questa visione e la sua risposta emotiva sono il calcio in culo di cui abbiamo bisogno per mettere in moto l’azione politica (per me è il Solarpunk).
Non è circuire, abbindolare, una tecnica retorica. È mostrare, darsi la possibilità di immaginare una realtà diversa. Se oggi l’uso emotivo delle immagini e della narrazione è legato alla propaganda, è colpa del marketing e di un ambiente mediale dominato dalla pornografia emotiva a scopo commerciale (la televisione è l’esempio principe).
Quello che invece ci serve è trovare un buon mezzo tra il lavoro di sintesi che ci permette di vedere e dare un nome a un problema (la fase che nel femminismo è l’autocoscienza), e accanto un momento di produzione e frequentazione di mondi possibili, una immedesimazione che ci faccia cogliere emotivamente la forma e il senso di uno scenario.
So come ti senti quando ti si mette in mano la scelta rispetto al futuro del mondo e non ti si dà gli strumenti per fare quella scelta. Il sentimento verso il futuro va coltivato, e si nutre di immagini.
Qualche immagine (bella o brutta) da cui potremmo partire a riflettere:
- La raccolta di racconti speculativi The weight of light
- Zero K di Don De Lillo
- Un racconto di Marco Melis con protagonista la Sardegna
- 2001: Odissea nello spazio
- Uno spot ispirato al Solarpunk
- Qualche episodio della serie Electric Dreams
- Wall-e
- Il ciclo di Dune
- Uno spot della Tim
- Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro
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