Tutto cambia niente cambia: perché il Patto Europeo per il Clima non ci salverà

10/12/2024

Uno dei concetti chiave dell’anarchismo è la prefigurazione, ovvero la scelta di pratiche quotidiane coerenti con la visione utopica (non in senso negativo) della società che si immagina.

A differenza dellɜ loro cuginɜ rossɜ più famosɜ, lɜ anarchichɜ non pensano che possa esserci qualche deroga ai propri principi necessaria a fare la rivoluzione – ad esempio fondando una dittatura per arrivare all’autogoverno. Può sembrare una cosa da rivoluzionariɜ di buone speranze, ma credo che questo concetto sia molto più comune di quanto si pensi. E credo che lo condivida soprattutto chi si trova nella posizione diametralmente opposta allɜ anarchichɜ, chi pratica il dominio e crede nella gerarchia.

Viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti, o quantomeno nell’assillante sensazione che dovremmo metterli in pratica, e dappertutto ci vengono raccontate le sorti nuove e progressive che ci attendono. Nuovi patti sociali, rifondazione del welfare, economie green e democrazie partecipative vengono sbandierate a suon di miliardi da chi, ci viene detto, ha a cura noi e la nostra speciale opinione sul mondo. Specie per quanto riguarda il collasso ecologico – pardon, cambiamento climatico – la sfida e l’opportunità per economie più sane e società civili più progredite, per città dei 15 minuti e smart grids ci vengono raccontate talmente spesso che quasi sembra che se non ci fossero i problemi ambientali bisognerebbe inventarli.

Potremmo guardare criticamente a simili promesse analizzando l’andamento delle emissioni di CO2 o le soluzioni tecniche che ci vengono proposte; ma ogni tanto passare dal macro al micro è salutare, e ci permette di tornare coi piedi per terra e non perderci in un qualche iperogetto.

Per questo voglio raccontare brevemente una mia esperienza all’interno di un Workshop sul Parlamento Europeo dei Cittadini, che dovrebbe presentare alcune delle pratiche previste dal Patto Europeo per il Clima. Spero che raccontandolo si capirà bene come chi ci governa intende la nostra così importante partecipazione alla transizione.

Punto 1: ma perché?

Capisco di dovermi giustificare: perché andare a un incontro che puzza di neoliberismo da un miglio? Peraltro andarci, mano sul cuore, senza partire prevenutə, semmai un po’ scetticə. La risposta è legata al fatto che è da un po’ di tempo che ragiono rispetto alle pratiche partecipative e ho interesse a formarmi in merito. Penso infatti che, in un’ottica di soluzione libertaria ai problemi ecologici, avere un’idea chiara dei limiti e delle potenzialità della deliberazione democratica in merito all’uso delle risorse e dei territori sia fondamentale. E se una certa conoscenza si può ottenere dallo studio analitico (per un’infarinatura sulla gestione orizzontale delle risorse vedi questo video su youtube sui Commons), penso anche che sia necessario iniziare a imparare e riprodurre le pratiche che, anche se in contesti non ottimali, già oggi esistono.

Quindi, con l’umiltà di chi si approccia a strumenti che ancora non conosce bene, e con la speranza di uscirne con delle esperienze e impressioni utili, mi sono iscrittə a questo ingessatissimo incontro con per cornice il Politecnico di Torino. Ahime, invece che qualche tassello per un’anarchia verde, ne è uscito questo articolo.

Punto 2: potevi pensarci meglio

Detto questo, mi si potrebbe anche obiettare che mi sarei potutə evitare di farmi il sangue cattivo se avessi letto con più attenzione la descrizione. Nell’incontro, supportato da una sfilza altisonante di organizzazioni (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Connect4Climate della Banca Mondiale, European Climate Pact Secretariat, Youth4Climate…) e sicuramente costato una bella dose di fondi pubblici, si dedicano ben 40 minuti allo sbandierato esercizio di partecipazione dei cittadini, e addirittura 10 minuti alla restituzione delle “decisioni” prese.

Ora, non so voi, ma in un tavolo di 8 persone io in 40 minuti a malapena riesco a presentarmi e a capire chi ho davanti, men che meno a partecipare a un «“Peer Parliament” dove i partecipanti, a gruppi, svilupperanno proposte e soluzioni». Mentre, almeno nel nostro paese, le persone votanti crollano ai minimi termini e con esse la fiducia nelle istituzioni, una democrazia espresso sembra, almeno a qualcunə, una cosa proponibile.

Ah, e ovviamente il tutto era condito da più di un’ora di interventi istituzionali, se ci fossero stati dei dubbi.

Punto 3: sovranità tua, decisione mia

Dunque, dopo aver sorbito un’interessantissima ora di interventi su quanto sia preoccupante l’attuale situazione climatica e su quanto questa chiami in causa tutti gli aspetti della nostra società (a parte mercato, stato, proprietà, disuguaglianze di reddito e di diritti ecc.), eccoci a iniziare la nostra pratica deliberativa.

Vienamo divisɜ in quattro gruppi: mobilità, energia, consumi, partecipazione. Io ricado nel terzo gruppo, e vengo portatə insieme ad altre 7 persone in un’altra stanza. Qui unə facilitatorə ci fornisce questo foglio:

Foglio consegnato al Peer Parliament del Patto Europeo per il Clima

Per renderlo comprensibile, devo svelare il fattaccio: i punti da A a E sono l’obiettivo del processo deliberativo. Ovvero, questo decantato parlamento, punto nodale delle nuove politiche europee da qui al 2050, non si tratta di altro che di far mettere a 8 persone il proprio bollino (giuro, fisicamente) di fianco a 4-5 proposte preconfezionate, che di tutti i problemi legati al consumo di risorse guardano alle bottiglie di plastica e alle etichette.

Non era infatti possibile votare contro, ma solo indicare quanto fossimo d’accordo. Il disaccordo non esiste e le migliori politiche, le uniche che vale la pena discutere, sono già state formulate altrove da qualche espertə. Noi possiamo solo assentire con più o meno veemenza.

Peraltro, in piena tradizione liberale, i bollini non erano condivisi e allocabili discutendo insieme come dividere il totale. Ogni persona aveva il proprio set di bollini da allocare per dare una qualche parvenza di consenso alle proposte (anche molto discutibili) riportate. Questa è l’importanza che ci viene data: siamo capi da consenso, al macello spedito e indolore della “democrazia partecipativa”.

Punto 4: tutto è permesso, nulla è lecito

Non voglio far sembrare che le persone al tavolo siano state ingaggiate in modo passivo, anzi. Lə facilitatorə ha infatti esposto il problema del consumo e ha chiesto alle persone presenti di dare la loro prospettiva in merito.

Con mia sorpresa, la conversazione è stata per nulla moderata. Noi cittadinɜ abbiamo infatti rigettato l’idea che l’attuale consumo sia un problema di chi consuma, bensì un problema di chi produce e di come abbia costruito catene del valore basate sulla devastazione ambientale. Di più, abbiamo convenuto che il consumo e i suoi effetti non sono distribuiti in modo eguale nella popolazione, e che tanto i consumi quanto il modo di produzione sono trainati da un settore ristretto della popolazione, estremamente ricco e influente, che rende impossibile perseguire qualsiasi alternativa ai suoi modelli in quanto questo inciderebbe sul suo profitto.

Può essere una visione tacciata di essere parziale e semplicistica (io ad esempio non lavoro in una fabbrica e il mio lavoro non dipende direttamente dai consumi di un prodotto), ma è effettivamente quanto è emerso dal confronto, secondo me sincero, tra persone sedute a un tavolo con l’obiettivo di risolvere un problema. In un mondo migliore, questa conversazione sarebbe stata l’esempio di come le persone sono disposte a modificare le loro abitudini di consumo e a mettersi in gioco quando sentono di avere il supporto di altrɜ che sono dalla loro parte, che comprendono il sentimento di non avere davvero colpa ma di dover comunque agire.

Ma non viviamo in quel mondo. La nostra conversazione è finita con la proposta di una tassazione diretta alle aziende e una redistribuzione di parte dei proventi su base progressiva per ammortare il costo sullɜ consumatorɜ (il fantomatico punto E per chi si ricorda). Ma qui il verticalismo ha colpito: lə facilitatorə, infatti, ha avuto l’arduo compito di filtrare la nostra proposta nelle strette maglie del neoliberismo e di riformularla per scriverla sul foglio dove apporre i bollini. Riuscendoci, noi persone del tavolo siamo inavvertitamente diventate proponenti di un’ennesima richiesta alle aziende di maggiore trasparenza sugli impatti dei loro prodotti (sembra uguale al punto A? buon occhio!).

Come a dire: voi fate pure le persone radicali, ve ne abbiamo dato il permesso. Finito lo sfizio e il tempo allocato, però, tornano a decidere le persone serie.

Punto 5: ingoia la bile e sorridi

Dopo questi fatidici 40 minuti e dopo la scena grottesca di 8 persone adulte che mettono bollini colorati su proposte come l’aumentare le informazioni sulle etichette, eccoci ritornare nella sala principale con il nostro tabellone.

Bello bollinato e intriso di spirito democratico, doveva arrivare nelle mani di una persona speciale: l’onorevole ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, mio compatriota piemontese, Gilberto Picchetto Fratin.

Ecco quindi l’ultima beffa: la nostra umiliazione democratica doveva infatti essere consegnata alla persona che le avrebbe mai prestato meno attenzione, e che giustamente ha trattato tutta la questione come la buffonata che era, almeno a giudicare dallo sguardo sornione che ha mantenuto durante gli sforzi dellɜ facilitatorɜ nel presentare le anemiche proposte bollinate come le raccolte del supermercato.

Non solo, ma il beneamato fautore delle neutralità energetica si è anche lanciato in una lunga diatriba contro la stessa Unione Europea di cui pure stavamo mettendo in pratica gli obiettivi. Nello specifico, ha tirato fuori un cavallo di battaglia che abbiamo già ampiamente trattato, ovvero l’ecologismo ideologico proprio del blocco delle auto endotermiche e dell’esclusione dei biocarburanti dalla tassonomia green.

Dunque, non solo abbiamo partecipato a un processo democratico i cui risultati erano pilotati fin dall’inizio, in cui non ci era dato il tempo per formare o esprimere seriamente un’opinione, in cui ogni nostro tentativo di rompere la cornice neoliberista era annullato da una decisione unilaterale, in cui la nostra partecipazione era quantificata in modo imbarazzante e usata per sostenere finti processi di transizione verde, in cui il nostro lavoro e il nostro tempo erano impiegati solo per chiedere la carità di ottenere una qualche considerazione non vincolante da parte dei veri decisori politici, ma abbiamo anche avuto la dimostrazione di quanto nessuno rispetti l’istituzione per cui abbiamo lavorato. Neanche e nientemeno che il più alto esponente di politiche green nazionale.

Conclusione: se è democrazia questa

Potrei aggiungere tante cose, ma per concludere voglio dire solo questo: come possiamo mai fidarci di persone che reputano accettabile proporre questo sfacelo della partecipazione democratica?

Quello che mi colpisce infatti è la totale mancanza di pensiero strategico. Questo incontro sarebbe potuto essere costruito in modo da farci percepire di avere una voce, una voce vera e anche in parte scomoda, o anche solo una voce strumentale ma cui si dà valore. Farci uscire di lì con una minore impressione di essere statɜ presɜ per il culo, di aver partecipato a una farsa. E invece.

E invece, evidentemente, l’automatismo alla direzione di persone che si pensano o troppo stupide o troppo impotenti per fare qualcosa, per quanto si manchi loro di rispetto, è troppo forte. Tanto più si cerca di far credere a un cambiamento futuro, tanto più la prefigurazione del vero spazio di partecipazione che si sta creando diventa chiara.

Dunque non fidiamoci, non solo perché ci vogliono governare nel senso peggiore del termine, ma perché non sono neanche così bravɜ a farlo. Finché il capitale lo fa per loro, forse le cose funzioneranno, certo. Ma io non penso che chi ci governa oggi si immagini davvero lo scontento che cresce e la sfiducia che permea la società – pensa che qualcunɜ (la polizia innanzitutto, ma anche il design di simili processi partecipativi) se ne occuperà per loro per sempre. E questo è pericoloso, perché chi non si aspetta il conflitto non lo sa gestire, e rischia di prendere azioni radicali quanto ci si è messo davanti. Oggi placcare un’attivista che tira della vernice ad acqua, domani chissà.

Io, per tenere allenati i muscoli e la voce, la stessa settimana di questa serata buttata ero a Venaria e poi a Torino a mandare affanculo Fratin e il suo G7 –  e a prendermi i fumogeni in una stretta via di Vanchiglia. Quindi, chi vuole, può leggerci una bella parabola dallo spazio “democratico” a quello tristemente democratico odierno.

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