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La signora delle merci // Cesare Alemanni

Cos’è e da dove nasce quel complesso di tecniche e tecnologie, conoscenze, legislazioni, modelli di comprensione e di rappresentazione del mondo che chiamiamo logistica?

08/02/2025

Nel 2021 abbiamo divorato Il capitale è morto di McKenzie Wark. Subito l’abbiamo considerato un testo profetico per la sua capacità di tradurre in termini strutturali (marxisti) qualcosa che fino ad allora avevamo percepito come sovrastrutturale, cioè le dinamiche geografiche, tecnologiche e geopolitiche che hanno permesso la “globalizzazione” delle merci e dei capitali.[1] Non più solo merci che si spostano da parte a parte del pianeta, ma vere e proprie forze strutturali, nuovi attori che si inseriscono all’interno della logica capitalistica e, secondo Wark, la fanno esplodere.

In La signora delle merci – sottotitolo Dalle caravelle ad Amazon. Come la logistica governa in mondo – Cesare Alemanni risponde alla domanda: da dove arrivano questi nuovi attori? Certo, le grandi compagnie logistiche nascono nel capitalismo, ma come si è sviluppato tutto quel complesso di tecniche e tecnologie, conoscenze, legislazioni, modelli di comprensione e di rappresentazione del mondo di cui questi attori si servono? Storicamente, risponde Alemanni, la logistica non nasce dal, ma insieme al capitalismo.

In principio c’è naturalmente la guerra, con la necessità di fornire di materiali e beni di consumo a eserciti sempre più grandi, che si spostano e devono essere disciplinati da uno stato centrale. Solo in un secondo momento arrivano i commerci e il colonialismo, insieme alla richiesta di disporre di modelli sempre più efficienti di gestione dei porti per permettere una valorizzazione di quantità sempre più grandi di merci. In terzo e ultimo luogo arriva quella che potrebbe essere considerata la vera e propria sussunzione della produzione industriale da parte della logistica. Il movimento qui è quello di una catena di montaggio taylorista che si allarga e allunga sempre di più fino a uscire dai confini della fabbrica e coinvolgere non solo intere città e aree produttive, ma da attraversare oceani e continenti.

La trasformazione della manifattura in flussi tra fabbriche anziché dentro le fabbriche rese cruciale la riduzione del tempo trascorso in quel “tra”, nonché dei costi a esso connessi.
A partire dagli anni Sessanta [del Novecento] si assistette perciò, prima negli Stati Uniti e poi globalmente, a innovazioni tecniche (su tutte il container) e legislative che stravolsero il volto dei trasporti internazionali.

È qui che torniamo a McKenzie Wark e alla sua teoria del Vettore come classe che ha sostituito il capitale nell’organizzazione della produzione e nella massimizzazione del profitto attraverso l’estrazione di una nuova forma di valore: l’informazione. La conoscenza logistica è fatta di saperi scientifici e organizzativi, ma anche di legislazioni, politiche, tendenze globali nella domanda di beni, della capacità di anticipare i problemi che colpiscono la circolazione prima che si verifichino… Così come un capitalismo senza stato è piuttosto difficile da pensare, oggi quella regolazione di flussi e popolazioni tradizionalmente esercitata dallo stato tende a concentrarsi nelle mani di altri attori economici multinazionali. Scrive Alemanni:

Il risultato è che gli odierni giganti della cosiddetta third party logistics – aziende come C.H. Robinson, Kuehne&Nagel, Ubs o Dhl – operano più come tramite di processi industriali che come fornitori di servizi di trasporto al pubblico. Al punto che, a metà anni Dieci, si poteva sostenere che l’industria logistica avesse, per molti versi, cannibalizzato l’industria tout court. Che, almeno per quanto riguardava la produzione, l’intera industria della manifattura fosse ormai un’industria logistica.

Forse non è un caso che, mentre questo processo cominciava a darsi in modo sempre più massiccio, quel lessico politico che (forse) doveva rinnovarsi per riuscire a descriverlo andava via via sparendo dal discorso pubblico.[2]


[1] A questa interpretazione ci sentiamo comunque di accostare quella complementare e in parte divergente dei cicli di Arrighi, ripresa da Joshua Clover, secondo cui produzione e circolazione rimangono due processi almeno analiticamente distinti, il secondo legato strettamente alla riproduzione delle classi subalterne.

[2] Seppure non senza conflitto. Torneremo molto presto a parlare di movimento altermondialista.

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