Le femministe non sono tutte uguali, questo è un fatto. Ma per qualche motivo, quelle che hanno più risonanza mediatica sono anche quelle che portano avanti in modo più agguerrito posizioni trans-escludenti (aka TERFs). E allora mettiamo subito le mani avanti: questo pezzo appoggia tutti i suoi piedi su salde idee transfemministe, condanna tutte le discriminazioni e il conservatorismo binario ed eterocentrico della cultura popolare e di una parte del movimento LGBT.
La vicenda ormai la conosciamo tutti: in provincia di Napoli un venticinquenne ammazza la sorella, Maria Paola Gaglione, perché aveva una relazione con un ragazzo trans, Ciro Migliore. Del fatto in sé non voglio parlare, mi pare che si commenti da solo.
Io invece voglio parlare della nostra ArciLesbica Nazionale e del suo spiccato talento a non farsi scappare l’occasione per rimarcare le sue posizioni TERF. Ieri, in un tentativo di raccontare il fatto come un omicidio dettato dalla lesbofobia (come se chi nella sigla ha più casi a fine anno ricevesse un premio da Zan), arriva a negare che, di fatto, Ciro sia trans, adducendo al fatto che non ha iniziato un percorso di transizione medica e legale.
Le parole esatte del post sono:
La transessualità non si autocertifica, […] e [Ciro] ha documenti e corpo femminili.
Quello che ho edulcorato mettendolo tra [quadre], ossia quello che mi risulta più scandaloso, è la nonchalace con cui la nostra ArciLesbica, pienamente cosciente della situazione, decide deliberatamente di utilizzare nomi e pronomi femminili, e anzi porta avanti le sue posizioni argomentate sul perché nomi e pronomi femminili devono essere usati.
Immaginatevi, per favore, di camminare nelle scarpe del povero Ciro. Dimenticatevi per un attimo di aver appena perso la fidanzata a causa di un atto violento non indirizzato a lei ma a voi. Dimenticate di essere stato pestato e poi umiliato da tutta quella stampa che vi ha misgenderato “per errore”. Vi svegliate una mattina e trovate ad aspettarvi un’associazione apertamente trans-escludente che si premura di spiegarvi come mai loro sanno esattamente chi siete voi mentre voi non lo sapete, che vi istruisce per filo e per segno su come mai la vostra identità non è valida e la vostra sofferenza non ha nessuna importanza di fronte al Grande Pronome Femminile Affibbiato Alla Nascita.
Non so se riuscite a immedesimarvi. Io sì. E la prima cosa che mi viene da pensare (scusate il cinismo) è: menomale che sono vivo perché se no chissà che nome mi mettevano sulla pietra.
Ora, non stiamo parlando di invalidare le scelte sessuali di qualcuno, cosa di per sé già abbastanza grave, ma di negare la sua capacità di autodefinirsi, la sua liceità ad usare una parola per parlare di sé.
Qui penso che non stiamo più discutendo di omofobia, lesbofobia o transfobia. Qui stiamo parlando di femminismo, e neanche di quello di oggi. Stiamo parlando di un’autoaffermazione che passa attraverso la libertà di scelta (se non è femminismo questo!).
E questa è anche la libertà scegliere di sottoporsi o sottrarsi a un trattamento medico (altrimenti che senso aveva parlare di aborto consapevole?). Il sottotesto nel post di ArciLesbica è che per essere trans* è necessario, anzi obbigatorio, sottoporsi a procedure mediche. Questo peraltro denota una grande ignoranza delle tematiche trans*, dal momento che, anche volendo, al giorno d’oggi non è scontato di potersi sottoporre a un certo tipo di transizione — basti pensare al fatto che alcune regioni italiane non hanno un Centro pubblico per la Disforia di Genere o simili… E ripeto, questo anche volendo intraprendere un percorso medicalizzato, cosa che non è affatto ovvia. Vogliamo parlare di attivitst* e femminist* che hanno transizionato illegalmente per sottrarsi alle logiche stigmatizzanti di un sistema che pretende (come ArciLesbica d’altronde) di decidere chi siamo?
Certo che la legge e la medicina hanno delle procedure e delle rigidità a cui non si può sfuggire, ma al di fuori di queste ci siamo noi. Negare a qualcuno la possibilità di autodefinirsi è un tipo di conservatorismo astratto a cui non ci possiamo permettere di ambire quando abbiamo a che fare con esseri umani in carne ed ossa come Ciro. In astratto possiamo discutere di quello che vogliamo, costruire e smontare le nostre teorie anche tutti i giorni, se ci aggrada. Ma nel mondo reale invalidare un’identità è un atto violento e ci dovremmo pensare veramente bene prima di farlo pubblicamente, specie come associazione che si definisce (in qualche modo) femminista.
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