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La concezione anarchica del vivente // Jean-Jacques Kupiec

Anarchia biologica e cellule autogestite contro l’ordine del DNA.

06/01/2025

Ogni tanto astrarre dei discorsi dal contesto in cui li incontriamo di solito può farci capire degli aspetti che non avevamo visto. Ad esempio, prendendo in mano La concezione anarchica del vivente di Jean-Jacques Kupiec potresti aspettarti un testo su come la filosofia anarchica concepisce questa cosa misteriosa che è la vita, con tutte le sue forme affascinanti in cui siamo immersɜ. Se ti aspetti questo, resti delusə da questo testo che è un saggio scientifico, una storia della disciplina della genetica da Mendel in poi, arrivando alle scoperte legate all’ontogenesi (lo sviluppo degli organismi multicellulari dallo stato embrionale) negli anni Duemila. Un mondo fatto di analisi di laboratorio, studi statistici e modelli matematici, in cui apparentemente l’anarchismo non c’entra nulla. Ma proprio inserendo, in un modo niente affatto banale, la visione anarchica in un campo così inusuale (almeno per chi di noi non è anche biologhə) Kupiec riesce a sviluppare dei concetti in modi inaspettati.

Innanzitutto la biologia non è un campo politicamente neutro. Forse per noi persone trans* è più facile tenerlo a mente, ma la biologia per come la conosciamo si sviluppa in determinati momenti storici, e quello che ne risulta è un sistema fortemente normativo che postula un’essenza, non ovviamente basata su concetti iperuranici, ma su molecole molto materiali che formano il DNA. Quest’essenza dirige lo sviluppo degli esseri. L’idea del codice genetico, del gene inscritto nel DNA, che si trova all’interno di ogni cellula e si esprime in caratteri definiti è diventata una conoscenza comune. Un essenzialismo di fondo che emerge ogni volta che guardiamo a un animale (umano) adulto come frutto di uno sviluppo determinato dall’inizio e definito in ogni suo passo – e di conseguenza pensiamo a ogni non-adulto come importante solo in quanto adulto in potenza. Allo stesso modo, guardiamo agli arti come funzionali a compiere le azioni dirette dal cervello e pensiamo alle cellule come a parti utili solo allo scopo di far vivere un organismo.

Il primo obiettivo di Kupiec è smontare pezzo per pezzo questa visione, tanto con argomenti filosofici che scientifici, ripercorrendo la genealogia aristotelica di questa concezione e mostrando i problemi di un’ontologia che rende accidente tutto quello che non reputa abbastanza importante. In questo modo emerge il punto chiave del determinismo genetico: l’idea che esista un codice iscritto nel DNA che, pur in un mondo ricco di fenomeni aleatori, riesce a mantenere un nucleo fisso di ordine che si trasmette di generazione in generazione tramite la procreazione.

Per Kupiec è su questo nucleo di ordine che si basa tutta la costruzione con cui guardiamo al vivente, fatta di caratteri, organismi, individui, specie… Nello stesso modo determinato e ordinato, l’informazione nel DNA arriva a produrre gli esseri viventi tramite l’espressione genica. Ed è proprio questo nucleo che va superato. Alla luce di varie scoperte recenti (e di altre molto più vecchie ma spesso ignorate), Kupiec afferma che nessuno dei processi legati al DNA o alle proteine è fisso o determinato, anzi sono tutti fortemente aleatori. L’espressione dei segmenti di DNA, la forma delle proteine, le interazioni tra cellule negli organismi: niente di questo rappresenta un ordine cui si aggiunge un rumore stocastico di fondo, tutto è prodotto da processi essenzialmente randomici.

Decadendo l’idea di un ordine del vivente codificato nel genoma, crolla anche tutto il resto della nostra concezione della vita. E se possiamo lasciare a Kupiec l’opera di ricostruire una biologia su fondamenti nuovi (con, spoiler, una rilettura radicale del pensiero di Darwin), vale la pena di riprendere il pensiero che guida la sua opera. Una rivoluzione copernicana che ribalta le nostre idee di ordine e disordine, che contiene il nucleo anarchico della teoria di Kupiec. Per il biologo, dobbiamo smettere di cercare qualcosa di fisso e stabile nel vivente, una parte sufficiente a spiegare l’ordine che vediamo quando guardiamo al mondo e alla complessa organizzazione di animali, piante e funghi (tra le altre cose), sia interna che in relazione tra loro. Dobbiamo, finalmente, abbracciare l’idea della variabilità intrinseca alla vita.

Non esiste un ordine superiore al vivente, anche nella sua più piccola forma cellulare, che “spieghi” la sua possibilità di organizzarsi. L'”essenza” (anarchica) del vivente è proprio la sua assenza di ordine, la sua aleatorietà e continua variazione. Le cellule vivono per sé e non si organizzano obbedendo a un comando interno o esterno, anche quando tutte insieme formano un organismo pluricellulare.

Un corpo vivente non è un tutto centralizzato nel quale ogni parte è votata al suo funzionamento. È una comunità cellulare autogestita che risulta dalle interazioni tra le sue parti e l’ambiente esterno. Le cellule non sono lì per formare l’organismo, Vivono per sé stesse e al tempo stesso sono spinte a cooperare per via dei vincoli imposti dall’ambiente interno [all’organismo].

Se le cellule sono così libere da agire in modo aleatorio e senza una direzione precisa, il compito della biologia sarà di capire come la libertà fondamentale delle cellule e delle strutture più semplici inizi a organizzarsi grazie alla loro influenza reciproca e all’ambiente che creano. Come può l’unione di varie cellule, nel caso si compensino le azioni aleatorie delle singole unità, garantire condizioni favorevoli a tutte e a indurle a limitare le proprie possibilità, a specializzarsi e diventare via via tessuti, organi e sistemi?

Agli occhi di un sistema nervoso un po’ troppo emancipato (cioè noi stessɜ), la concezione anarchica del vivente è quindi un modo per reinserirci nel flusso di un vivente che esiste da prima di noi (sia come struttura che come coscienza) e che ci sopravviverà. Un flusso di cui possiamo scegliere in parte la direzione ma che dobbiamo anche rispettare – non tanto per una sua qualche sacralità ma perché ha già tentato di fare quasi tutto quello che poteva e ha trovato le cose che funzionano. Ma anche un flusso radicalmente libero, non perché privo di legami ma proprio perché costituito da legami di interdipendenza e di impoteramento liberi e non sovradeterminati.

L’essere che appare come un tutto funzionale non è un prodotto secondario dell’autogestione cellulare. […] Le cellule non si organizzano. Esse non fanno altro che gestire al meglio i rapporti con le loro vicine, cosa che porta a strutture in equilibrio che noi chiamiamo «organismi» e che noi identifichiamo come «organizzazione». Nella prospettiva anarchica vi è autogestione cellulare e non auto-organizzazione.

Ora, se solo potessimo sostituire la parola “persone” a “cellule”, e la parola “società” a “essere vivente”…

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