Harvesting the Net

Una Storia di Giardinaggio Digitale – Scritta e raccontata in un video-essay di REINCANTAMENTO

28/11/2024
REINCANTAMENTO
Link all'originale

Zero – Il fallimento di una metafora

La nostalgia non ha significato nel giardino. Il giardino è un luogo privilegiato del futuro, un territorio naturale della speranza

I ragni non vengono in mente quando diciamo “il web”, né gli animali da fattoria quando pensiamo al “feed”. Ma per i giardini digitali, l’intreccio dei mondi online e offline si tramuta in un’unica presenza.

Eppure, è vago… Il giardino digitale è svincolato da una pratica specifica. Come una metafora, la sua presenza è mediata dall’artificio retorico. I Giardini Digitali si sono evoluti fino a diventare un ethos, un modo di essere online. Allo stesso tempo, sono stati assorbiti dalla mentalità della produttività, incentrata sul costruire network ovunque.

Come significanti nebulosi, i giardini digitali fluttuano nei crogioli della libertà e del progresso, dell’apertura mentale e del determinismo, della naturalità e dell’artificialità. In questo, l’intimità della digitalità si perde in una “schiera mobile di metafore, metonimie e antropomorfismi”.

Ma altrove, i giardini sono preservati oltre i binari della mente e della materia. Quando una volta, il cyberspazio era libero.

Uno – Una storia popolare di Internet

David Bowie: E Internet ora.. porta la bandiera dell’essere sovversivo e possibilmente ribelle e caotico e nichilista. Oh sì, lo è! Dimenticate l’elemento Microsoft, i monopoli non hanno il monopolio, forse sui programmi.”

Mio padre è sempre stato un geek. Nel 1995, si è connesso per la prima volta a Internet. Navigando sul sito dell’Università di Tokyo, è stato trasportato in regni ben oltre la nostra città nel Nord Italia. Descriveva la sensazione come una di liberazione, come se avesse il mondo intero sulla punta delle dita. Immerso nel cyberspazio, si sentiva come se stesse volando sopra la superficie terrestre, ignorando confini e stati-nazione. Era impossibile non essere euforici.

I giardini digitali sono cresciuti da questa era primordiale di interconnettività, quando molta fiducia era riposta nel potenziale dell’informazione di re-incantare il mondo materiale.

Mark Bernstein ha coniato il termine “Giardino Digitale” per riferirsi all’arte e alla disposizione dell’ipertesto e delle pagine web, inquadrato nella metafora dei giardini per descrivere questo nuovo spazio pubblico. La metafora intrecciava mondi digitali e fisici attraverso i fili del tempo che una volta li tenevano separati.

Le barriere stavano crollando. Il Muro di Berlino era appena stato smantellato, simulando l’unificazione globale del mondo. L’euforia elettrificava l’aria perché il tempo si fermasse, come se si stesse venendo a patti con l’erosione della storia stessa.

Ma mia madre non era così convinta. Esitava con questa vasta frontiera, accertando che le grandi possibilità sono accompagnate da altrettante incertenze. Non avrebbe Internet cambiato il nostro modo di pensare?

E, proprio come mio padre, aveva ragione.

Accanto ai giardini, i leader mondiali annunciarono piani per sviluppare un’autostrada dell’informazione, per disseminare un’infinità informativa negli angoli più remoti del globo. Se siamo ciò che mangiamo, allora siamo il foraggio e il feed.

Era l’informazione che voleva essere libera, o le persone che volevano essere libere?

Bowie: […] Non credo che vediamo nemmeno la punta dell’Iceberg… Penso che il potenziale di Internet di fare alla società, sia nel bene che nel male, sia INIMMAGINABILE. Penso che siamo davvero sull’orlo di qualcosa di esaltante e terrificante!
Intervistatore: È solo uno strumento, no?
Bowie: No no no, è una forma di vita aliena. […] C’è vita su Marte? Sì ed è appena atterrata qui!

I monopolisti pensavano che per dominare questa mega-creatura sarebbe stato sufficiente standardizzarne l’accesso, come un’altra merce. Le infinite possibilità del cyberspazio murate sotto il cielo blu della perfetta User Experience.

Ma c’era una crepa.

I movimenti sociali all’inizio del secolo immaginavano che gli stessi strumenti potessero servire alla resistenza contro la nuova ondata di espansione del capitale. Lo chiamarono Indymedia. Il loro motto: non odiare i media; diventa i media. Il primo sito web di citizen journalism globale al mondo. I partecipanti erano autorizzati a contribuire liberamente con testi, immagini e video. Il Web divenne orizzontale e co-creato dai suoi utenti.

Dopo la repressione della polizia e il declino del movimento, Indymedia fu abbandonato. Alcuni dei suoi contributori tornarono negli Stati Uniti dove lavorarono su Odeo, una piattaforma di podcast. Ad Odeo, incontrarono Jack Dorsey, che era più interessato a lavorare su un progetto simile a Indymedia piuttosto che concentrarsi sui podcast.

Il 21 marzo 2006, Dorsey pubblicò il primo tweet umano al mondo per poi diventare CEO di Twitter. Il Web2 era finalmente atterrato.

Il social media dell’uccellino blu e il suo nuovo rivale Facebook hanno largamente aiutato i manifestanti a organizzarsi sulla scia della crisi finanziaria del 2008 e ad accendere la Primavera Araba in Egitto e Tunisia. I nuovi social network sono diventati un veicolo per incanalare il dissenso e tradurlo in azione nel mondo reale.

Per impedire a questa cibernetica anarchica di prevalere, divenne necessario controllare la dinamicità delle agorà digitali, e avvelenare i pozzi delle nuove fonti di informazione.

Un nuovo paradigma emerse lentamente con il suo array di strumenti e parole. Fake news, bot e algoritmi di raccomandazione. Le nuove compagnie californiane hanno progressivamente catturato il valore espresso dai cittadini, lentamente identificati come utenti e taggati con metadati. La democrazia non era davvero pronta per internet… No?

L’internet privatizzato è diventato un’esperienza estenuante per gli utenti. Eppure, le persone non vogliono rinunciare così facilmente alle loro abitudini online, e tentativi di riforma hanno iniziato a emergere in molteplici direzioni. Nel clamore, sussurri sui giardini digitali iniziano a essere “trending” nel feed.

Due – Un giardino tutto per sé

Perso nell’ambiguità della sua semantica, il giardinaggio digitale è stato intrappolato e reimmaginato come una nuova danza della produttività. Come riflesso dei tempi della “cultura del lavoro”, ha iniziato a essere compartimentalizzato in neat boxes con diversi tipi di strumenti. Sono anche conosciuti come “second brains”.

Come modo di gestire la conoscenza o piattaforma per condividere idee, è sempre progettato con una scala industriale per suggerire che il giardino è più una fattoria, lì per nutrire. Eppure, la pianificazione e la previsione della gestione di una fattoria perde la poetica intrinseca di un giardino, che suggerisce spontaneità, delicatezza, co-creazione e finali aperti.

Le fantasie iper-collegate di Bernstein servivano come richiamo per gli utenti dormienti in trance in una visione senza luogo del Web mainstream.

Un giardino digitale è un luogo per riposare e disimpegnarsi dal trambusto online. È un’eterotopia piuttosto che un’utopia, altrove eppure qui, a una recinzione di distanza dalle insistenti richieste dell’economia.

Un giardino non rivendica strettamente il regno della privacy, né abbraccia completamente il dominio pubblico; invece, modula abilmente il suo accesso, per preservare la sua distinta alterità.

Il giardino persiano, pairidaeza, include questa idea di chiusura, di separazione dall’esterno. Da pairidaeza, attraverso il greco e il latino, deriva l’idea indo-europea di paradiso. Fin dall’antichità, l’umanità ha messo in scena nei giardini i suoi sogni, speranze e memorie. Sono incarnazioni concrete di forme umane nel filo della natura.

Ma il desiderio di controllare la narrazione può trasformare questi paesaggi pacifici in strumenti di potere. Il tentativo di dominare l’Altro, sia umano che non umano, altera l’essenza stessa di ciò che un giardino dovrebbe essere.

L’ambiente vibrante di un giardino freme di vita ineffabile e sfugge al controllo. Respirando. Pulsando. Traboccando i limiti antropici che cercano di contenerlo. Un giardino vaga.

Coloro che si prendono cura di tale hodgepodge vivente, necessitano di sintonizzarsi con la melodia. Lasciando una traccia delicata, i giardinieri diventano parte del vortice.

kleine pause

L’adozione di una metafora opera sul piano dell’ineffabilità, infiltrandosi delicatamente attraverso l’ordine stabilito degli elementi. Forgia nuove percezioni. Per giardinare nel digitale, un’intensità nomade si infiltra nel desiderio di sistemi. Invitandoci a mescolare intimità con distanza, l’instabile con l’accogliente.

Camminiamo con cura, senza scambiare la cadenza tecnica per l’ethos del giardinaggio. Né l’interfaccia né le strutture a grafo definiscono un giardino digitale. Una monocultura produttiva non è ciò a cui aspiriamo.

Immagina un nuovo paesaggio. Un arazzo di giardini federati. Un caleidoscopio di eterotopie… Una rete sacra per flâneur online.


“Harvesting the Net – Una Storia di Giardinaggio Digitale” è un esperimento di REINCANTAMENTO. Il progetto è stato commissionato da Marialaura Ghidini e Sara Bortoletto in occasione di “Codici Magici”,  un simposio di tre giorni sulla tecno-magia, ospitato dal Centro per le Nuove Culture MO.CA a Brescia.

Da parte nostra, un grosso grazie a REINCANTAMENTO per aver prodotto e condiviso con noi questo video. [c.c.]

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *