Cose interessanti che si trovano in qesto libro, raccontate per chi ha di meglio da fare che leggerlo
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Fuori Binario // Giuseppe Burgio

La bisessualità oltre l’identità bisessuale e nuove (ma non tanto) direzioni per le politiche bisessuali.

09/03/2025
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«Sono bisesssuale. O meglio, pansessuale, ma preferisco definirmi bisessuale.»

Questo è quello che dico di solito quando mi viene chiesto quale sia il mio orientamento sessuale. Ma cosa vuol direi questa risposta? Se la bisessualità è la possibilità di provare attrazione per uno o più generi, definirsi bisessuali non dà alcuna informazione circa quali generi una persona preferisca, che tipo di attrazione provi per essi (romantica e/o sessuale), come intenda costruire relazioni con persone con genere diverso, se abbia preferenze genitali o differenze nel modo di agire sessualità con persone di genere diverso… L’atto performativo di definirsi bisessuali segna infatti solo il non appartenere all’etero o omosessualità, e apre a tutta una serie di domande che non vengono poste alle soggettività monosessuali egemoni.

Insomma, i non detti nella bisessualità sono più che i detti, e provare a specificare di più rischia di buttarci in discussioni così complesse che la stessa idea di un orientamento sessuale inizia a essere assurda. La buona notizia è che leggendo Fuori Binario. Bisessualità maschile e identità virile di Giuseppe Burgio possiamo scoprire che questo è un problema condiviso da tutti quegli strani costrutti sociali che chiamiamo “orientamenti sessuali”.

Focalizzandosi solo sull’esperienza maschile, Burgio ci porta a conoscere i modi in cui la mononormatività, ovvero il sistema che prevede che una persona sia attratta da un solo sesso-genere, fa acqua da tutte le parti, in ogni epoca e luogo. Uomini “principalmente” eterosessuali, bromance, sessualità mediterranea ci mostrano uomini che eccedono dal loro ruolo eterosessuale e costruiscono relazioni variabili, non riconducibili a nessuna semplice etichetta. Non tutte queste forme di bisessualità, ovvero di eccedenza rispetto alla mononormativitâ, sono però necessariamente votate all’emancipazione dal sistema sesso-genere. Ad esempio, la forte preferenza da parte di molto uomini eterosessuali per donne trans col pene, rispecchia una ricerca di forme di sessualità maschili e femminili allo stesso tempo, ma ancorata a un essenzialismo biologico transfobico. Certo, è interessante notare lo scarto rispetto alla rappresentazione egemonica di uomini eterosessuali – e quindi solamente attratti dalla vulva – ma nel farlo dobbiamo sempre mantenere chiara la nostra distanza rispetto all’Idea che una persona col pene non possa essere, se non in misura minore, una donna.

La pecca principale del testo risiede proprio in questo nodo critico, nell’immedesimarsi troppo nella visione rappresentata senza fare i debiti passi indietro rispetto alle componenti essenzialiste con cui la società costruisce la sessualità. È questa pecca che porta a certi passaggi che hanno giustamente attirato molte critiche:

Questo breve dossier mostra quindi un comportamento bisessuale maschile più vasto di quanto generalmente si ritenga. Sembra cioè possibile (almeno in parte degli uomini) eccitarsi, avere rapporti sessuali e orgasmi tanto con corpi anatomicamente maschili (al di là di come vengono socialmente considerati e al di là dell’autoattribuzione di genere) quanto con quelli delle donne.

[…]

La bisessualità è definibile – in prima istanza – come l’esperienza (o la capacità) di attrazione sessuale per entrambi i sessi, ma si differenzierebbe dalla fluidità sessuale perché l’orientamento bisessuale sembra poter essere altrettanto stabile degli altri orientamenti [.]

Nonostante pensi che frasi come quelle sopra tradiscano una distanza dall’elaborazione trasnfemminista, queer e bisessuale (basta leggere il Manifesto Bisessuale del lontano 1990) che, nel 2021 e in un testo che cita Butler e Preciado, mi pare assolutamente colpevole, credo che il testo di Burgio porti un pensiero che vale la pena di essere compreso. Tanto più da quel movimento – se così si può chiamare – bisessuale, che sembra aver averlo rigettato quasi completamente (vedi il volume Politiche delle bisessualità a cura di Aurelio Castro, dove il libro di Burgio è portato come esempio dell’«idea di rimuovere le sessualità bi+ e la categoria di orientamento sessuale»).

Se prendiamo sul serio la tesi del libro, possiamo infatti affermare qualcosa di critico per ogni proposta di politiche bisessuali, e cioè che la bisessualità non appartiene alle persone bisessuali.

Detto in altri termini, la bisessualità come modo di eccedere dalla mononormatività è qualcosa che fa parte dell’esperienza di quasi tutte le persone, qualsiasi il loro orientamento sessuale. Nessun gruppo specifico può pretendere di farsene rappresentante, tanto meno quel gruppo specifico e molto ristretto di persone che si identificano come bisessuali. Un uomo etero che fa sesso con i suoi amici pratica la bisessualità tanto quanto una persona orgogliosamente bisessuale, e sarebbe sbagliato chiedergli di performare quegli atti propri della comunità LGBTQIA+ (coming out, cambio di identità sessuale…) per accedere a un campo politico che gli è già proprio.

La molteplicità dell’esperienza bisessuale è tale che la stessa identificazione con la categoria bisessuale non è condizione necessaria per essere parte del campo della bisessualità. Quello che manca davvero alle politiche bisessuali, alla luce del lavoro di Burgio, è un modo per dare contenuto politico a tutti quegli atti bisessuali che già esistono, ma che rimangono ai margini dell’eterosessualità, intesa come sistema normativo, senza metterla in crisi.

Per farlo, è necessario però prendere atto che la bisessualità non ha la consistenza dell’eterosessualità o dell’omosessualità, che è un eccedente rispetto a un sistema, che manca di un referente fisso:

Di fatto, ci si riferisce alla bisessualità come spiegazione di persone e comportamenti che non rientrano nei quattro gruppi individuati sopra [uomo, donna, eterossessuale e omosessuale], pur non essendo chiaro quali stili di vita la bisessualità delimiti, quali siano le sue dinamiche intrapsichiche, i suoi modelli relazionali, le sue implicazioni sociali e culturali.

Questa è certo una debolezza per i modelli di lotta che ci rimangono dal Novecento, che presuppongono un’identità fissa e trasparente rispetto al soggetto che lotta per il suo riconoscimento. Ma è proprio questa evanescenza che mantiene il potenziale emancipatorio della bisessualità, che la fa rimanere un problema irrisolvibile dal sistema sessuale normativo. L’orgoglio bisessuale, se ha senso di essere, è l’orgoglio nel vedere che tutta la “liberazione sessuale” che ci sembra di vivere oggi non è ancora riuscita a cancellare il potenziale disturbante delle pratiche eccedenti, non-identitarie (su questo tema vedi A History of Bisexuality di Steven Angelides, che traccia la lunga storia di eccedenza dalla norma della bisessualità dalla biologia del XVII secolo fino a Foucalt).

Proprio per questo, la lotta dell’orgoglio bisessuale calcata sulla liberazione gay e interna – che ci piaccia o no – al campo LGBTQIA+ e ai suoi rapporti di potere (la famosa comunità GGGG e la bifobia) è solo uno dei molti modi con cui possiamo e dobbiamo sviluppare le lotte bisessuali. Certamente, è una lotta che può fare molto contro le forme di bifobia esplicita, le carenze nel sistema sanitario per le persone con comportamenti sessuali bisessuali, la maggiore incidenza di abuso di sostanze e problemi psicologici nelle persone bisessuali rispetto a quelle monosessuali. Ma non dimentichiamoci che la maggior parte delle persone non monosessuali non si riconosce come bisessuale, non fa parte della comunità LGBTQIA+ né aspira ad esserlo.

Non si tratta di stabilire una nuova agenda che sostituisca quella attualmente portata avanti dal movimento LGBT+, piuttosto di prendere sul serio quel segno +, che nell’acronimo non serve solo a evitare la proliferazione di lettere, ma anche e soprattutto ad ampliare la compagine delle lotte, finora composta da chi ha lottato a partire dalla propria identità, basando la propria azione sul concetto di orientamento sessuale (che si fonda sulla riconoscibilità della dicotomia di sesso/genere). È infatti oggi possibile, utile e doveroso coinvolgere quant* non si riconoscono nella B di bisessualità e nella T di transgenderismo intese come oggetti coerenti, stabili e monolitici, includendo nel movimento anche – e pienamente – quant* esprimono con il loro corpo intersex e con i propri desideri la critica a ogni forma di dicotomia.

Dobbiamo avere il coraggio di esplorare un campo di politiche nuove, di lotta contro il costrutto dell’identità sessuale che pure è stato la nostra culla dalla gay liberation ad oggi. Se la lotta bisessuale è una lotta per emanciparsi dall’egemonia dell’orientamento sessuale, per togliere un altro e decisivo strumento al sistema sesso-genere patriarcale, allora ci vediamo sulle barricate.

Se la lotta bisessuale è una lotta per il riconoscimento dell’identità bisessuale, allora buona fortuna e alla prossima.

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