Le locas sono frocie d’altri tempi, anche se questa raccolta esce per la prima volta nel 1996. Sono gay, trans, travestì, tutto insieme in un indistinto colorato, ingioiellato, kitsch, che guarda telenovelas e si scioglie per i cantautori latini veramente maschi. Ma dentro a questo insieme ci sono centinaia e migliaia di appartamenti e di strade di Santiago del Cile, in cui una loca vive la sua vita personale e la sua storia amara.
Le locas sono il soggetto rivoluzionario di Pedro Lemebel, in un Cile liberato e poi nella dittatura. Le loro storie (vere e false), raccontate in cronache e poi raccolte in Folle affanno. Cronache del contagio, sono storie di resistenza, di sorellanza, di sogno e disperazione, mentre il regime infierisce su chi non si adegua e nella dissidenza del cuore le locas muoiono di AIDS.
Il Cile di Lemebel è come un brodo primigenio in cui non si è ancora realizzata la separazione fondamentale tra cultura gay e cultura trans*, in cui la stessa parola “gay” non è ancora arrivata, e solo più tardi arriverà sbaragliando tutto, insieme ai turisti statunitensi bianchi col virus coloniale nelle vene, e alle bottiglie di Coca Cola su cui Lemebel ballerà la sua cueca sanguinando sul Sudamerica. E in questo miscuglio di cose e di nomi, credo sia questo che mi ha conquistatə: c’è troppo racconto per essere solo una cronaca e troppa politica per essere solo letteratura.
Pezzi da leggere assolutamente:
- I mille nomi di María Camaleonte
- Manifesto (Parlo in nome della mia differenza)
- L’alba rossa di Willy Oddó
- Quegli occhi verdi (A quel cuore fuggitivo del Chiapas)
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