A Mountain View, California, ha luogo una protesta. Davanti al quartier generale di Google si è riunita una piccola folla, qualcuno sventola un cartello con scritto: “Google, per favore, risolvi il problema della morte”.
Alcuni l’hanno immaginata come un processo di upload della coscienza su memorie digitali, tipo Transendence, il film con Johnny Depp. Altri l’hanno immaginata come cyberspazi e innesti biotecnologici. Altri ancora, come Don DeLillo, l’hanno immaginata come un luogo fisico, grandi vasche dove i corpi vengono conservati fino a data da definire (ma i meno danarosi si accontentano delle teste).
E se fosse tutto vero? Se l’immortalità non fosse solo un sogno di mistici e romanzieri, ma una destinazione già ben visibile al di qua dell’orizzonte?
L’ha visitata il giornalista Mark O’Connell, portandosi dietro la sua curiosità e il suo scetticismo. È tornato con un reportage dal titolo Essere una macchina. Un viaggio attraverso cyborg, utopisti, hacker e futurologi per risolvere il modesto problema della morte. È difficile dire se una profonda risposta alla domanda O’Connell l’abbia trovata. Solo che qualche anno dopo si è rivolto alla morte come problema collettivo e ha scritto Appunti da un’Apocalisse.
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