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Chthulucene // Donna Haraway

Una nota a margine e una curiosa idea di Apocalisse…

12/08/2024
Mycena

Una nota a margine e una curiosa idea di Apocalisse

Il nostro compito deve essere fare disordine e creare problemi, scatenare una risposta potente dinanzi a eventi devastanti, ma anche placare le acque tormentate e ricostruire luoghi di quiete.

Come ho già scritto da qualche parte, il problema fondamentale dei testi di Donna Haraway è il loro essere sostanzialmente inaccessibili. Chthulucene è una lettura pesante, frustrante, e menomata nell’edizione italiana di Nero Edizioni di una parte centrale del testo originale. Quello con i neologismi a la Haraway è uno scontro continuo – a partire proprio da titolo, che non rimanda a Lovecraft né a nessuna parola discernibile, e peraltro trovo francamente fuorviante il modo in cui sì è passati da Staying with the trouble. Making Kin in the Chthulucene a Chulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto dell’edizione italiana.

Ad ogni modo, proprio questo titolo italiano comunica qualcosa su cui vorrei soffermarmi. La parola sopravvivere, assente nell’originale, mi parla di quell’ossessione per l’Apocalisse che condivido anch’io con i curatori di Nero Edizioni.

Guardandomi indietro, sono molti anni che torno periodicamente sul tema, che sia attraverso l’ecologia, cronache sul transumanesimo come Essere una macchina e Appunti da un’apocalisse di Mark O’Connell e il suo alter ego italiano Gli immortali di Aberto Giuliani, o ancora il corrispondente finzionale Don De Lillo; ho scritto di sopravvivenza simbolica, di estinzione di massa, e nel 2021, nel pieno del primo lockdown pandemico, ho iniziato a immaginare una storia di rinascita post-apocalittica. Sarà che una narrazione compiuta tipo quella biblica non ha mai fatto presa su di me, e ho sentito il bisogno di inventarmene una personale, che mi suonasse meglio.

Ma al di là dell’ossessione soggettiva, ci sono ottimi motivi per mettersi a parlare di Apocalisse adesso. La difficoltà di dare senso al reale, ma anche la netta sensazione dell’approssimarsi della crisi, ci muovono talvolta verso una politica positiva di costruzione di alternative, e talvolta a prefigurare scenari apocalittici e post-apocalittici che siano comunque dotati di senso, anche nel pieno della crisi.

Tra migranti climatici e transumanisti, mi sembra quindi utile citare Donna Haraway. Il suo libro in effetti incoraggia politiche positive e costruzioni di senso, ma si mette anche al riparo dalla disperazione dell’immaginare l’Apocalisse così come ci si pone.

Cos’è Chthulucene

Chthulucene è un’epoca di emersione da un sotterraneo (per cui l’aggettivo ctonio) dimenticato ma potente, rappresentato secondo Haraway dalla Potnia Theron, dea con fattezze umane e animali. La dea vendicativa e nemica degli dei dell’Olimpo simbolizza infatti tutte quelle conoscenze e pratiche femminili, indigene e minorizzate che da sempre si sono opposte ai progetti maschili, bianchi e coloniali di dominio. Soprattutto, Potnia Theron è una visione spaventosa ma affascinante di un’umanità animale, legata indissolubilmente al mondo materiale al punto da essere costituita da altri esseri viventi.

Dea alata con testa di Gorgone che indossa una gonna divisa e tiene un uccello in ciascuna mano, tipo Potnia Theron. Probabilmente fatto a Kos. Da Kameiros, Rodi.
Potnia Theron – Wikimedia Commons CC-BY-SA

A riemergere nello Chthulucene sono quindi le trame sotterranee che ci hanno sempre unito alle altre specie, espresse sia da culture altre che da pratiche interspecie. Tutte quelle trame che nella modernità sono state nascoste e rimpiazzate dalle narrazioni totalizzanti di un’umanità autopoietica, conclusa in sé stessa e divisa dal mondo “naturale” secondo visioni più o meno antropocentriche.

La presa di coscienza dello Chthulucene, del “con-fare simpoietico” (altro neologismo a la Haraway), non deriva però solo da una scoperta positiva. Proprio il momento di crisi che il sistema Terra sta vivendo, e soprattutto il lacerarsi delle trame che ci uniscono alle altre specie con cui intessiamo vite e significati, ci porta ad avere coscienza di quanto oggi abbiamo bisogno di riallacciare questi legami, lasciandoci indietro i tentativi moderni di emanciparcene. Nello Chthulucene hanno spazio tanto l’entusiasmo per aver ritrovato le nostre genealogie interspecie, quanto il lutto per quelle che abbiamo perso per sempre.

Apocalisse a chi?

A questo punto è già chiaro che ri-approcciarsi al tema dell’Apocalisse con lo sguardo di Haraway ci induce a riconsiderare l’oggetto del problema.

Da un lato, per noi umani perlopiù inclusi nella cultura occidentale, l’Apocalisse si configura innanzitutto come il trauma individuale e collettivo dato dal superamento del Capitalocene.

Il necessario e auspicato superamento del capitalismo e di tutto il sistema che porta con sé, non sta avvenendo con gli strumenti della politica e della trasformazione – ma sta avvenendo nella crisi. Non prende avvio dall’interno delle società, quando esse, gli individui, ed eventualmente le istituzioni che ne fanno parte, sono pronti. La crisi arriva e ci trova impreparat3; non c’è tempo per il gradualismo e il cambiamento sociale e antropologico, per elaborare nuovi concetti e modi di essere soggettività e comunità al posto di quelli che il capitalismo ci ha dato (lavoro, consumo, individualità, cultura/natura ecc.). A meno di un pieno ed efficace assorbimento della responsabilità ecologica da parte del capitalismo (che sembra molto improbabile, basta guardare come stanno andando i piani della green economy) – il superamento dell’attuale sistema sarà un trauma.

Dall’altro lato però, lo Chthulucene mette in discussione l’idea stessa dell’Apocalisse attraverso una ricomposizione del suo soggetto/oggetto.

Ovviamente il soggetto di tutti i nostri scenari apocalittici, dalla guerra nucleare alla pandemia globale all’innalzarsi del livello dei mari, sono gli esseri umani. Dico ovviamente perché il soggetto di qualsiasi cosa nel sistema attuale sono gli esseri umani, non per altro.

La fine del mondo, la distruzione del reale, ci interessa non come viventi ma come specie (anche quando, come sappiamo, non riguarda e non ricade egualmente su tutta la specie), al limite ci interessa come individui, com’è il caso dei preppers. Al di fuori di questo senso comune antropocentrico, ci ricorda Haraway, c’è tutto un sistema di cose e relazioni, di soggetti/oggetti non umani che ci preesistono e, a rigor di logica, ci succederanno. Ci sono batteri estremofili che abitano gli ambienti vulcanici e funghi radiotrofici che si nutrono di radiazioni. Insomma, la vita su questo pianeta è assai più resistente e resiliente del capitalismo.

A differenza del dramma che domina il discorso dell’Antropocene e del Capitalocene, nello Chthulucene gli esseri umani non sono gli unici attori rilevanti; gli altri esseri non sono mere comparse che si limitano a reagire. L’ordine viene rielaborato, si disfa una maglia per crearne un’altra: gli esseri umani sono della Terra e con la Terra, e i poteri biotici e abiotici di questa Terra sono la trama principale del racconto.

Possiamo quindi trasformare l’idea di Apocalisse in quello che realmente è: la fine del Capitalocene e forse del cosiddetto Antropocene, o magari anche della specie umana per come l’abbiamo intesa. Ma che dire di tutto il sistema di relazioni e trame che sono state parte integrante del nostro con-divenire umano? Sembra quasi, ma non oso dirlo seriamente, che al di fuori del Capitalocene, e della sua logica della separazione umano/non-umano, l’Apocalisse non esista.

C’è un altro passo politico che Haraway fa ma, secondo me, non evidenzia del tutto. Da questa separazione umano/non-umano (ma con Jane Bennet potremmo andare anche oltre dicendo materia-vivente/materia-non-vivente) gemmano tutta una serie di ulteriori separazioni come quella tra soggetto economico e risorsa, tra essere umano e non-del-tutto-umano (lo schiavo per esempio), ovviamente tra uomo e donna, ecc. E mi sembra che in termini genealogici l’Apocalisse sia di nuovo centrale: forse non è un caso che nel cristianesimo l’Apocalisse sia un potente strumento di mantenimento dell’ordine sociale, che istituisce innumerevoli gerarchie morali e civili per mezzo della minaccia del giudizio e del premio/punizione.

Anche queste separazioni in coppie gerarchiche oggi sono in crisi, e lasciano aperto uno spazio per la visione filosofica e politica di Haraway.

Siamo tutti licheni: anche noi possiamo essere raschiati via dalle rocce dalle Furie che ancora si scatenano per vendicarsi dei crimini contro la Terra. In alternativa, possiamo unirci alle trasformazioni metaboliche tra rocce e creature per imparare a vivere e morire bene.

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