I tedeschi stavano meglio quando c’era Hitler.
All’indomani della Seconda guerra mondiale, sulla stampa estera iniziano a circolare notizie spaventose. Il popolo tedesco è un popolo di nazisti, la Germania piange il regime illiberale, gli Alleati devono prendere provvedimenti, epurare i dirigenti ed educare le masse.
Ma c’è anche chi non è pienamente convinto di questa narrazione. Il giovanissimo giornalista svedese Stig Dagerman decide di andare in Germania a vedere con i suoi occhi la situazione delle città. In un’atmosfera pienamente postbellica, Dageman cammina tra le rovine di una società, entra nelle case dove la gente piange i suoi morti e resiste. Quello tedesco è un popolo che sta resistendo agli stenti, alla povertà, divorato dall’inflazione, che vive nelle cantine e sì, certo, stava meglio quando c’era Hitler. Si può biasimarli?
Con questa raccolta di articoli nasce un genere di reportage del tutto nuovo, che per alcuni aspetti è una commistione tra il giornalismo e l’etnografia. Dagerman non si occupa delle battaglie e della guerra, né dei nuovi governi e della gestione della ricostruzione. Lui parla con la gente, “annusa nelle pentole” del popolo, respira l’aria che respirano loro, l’aria fredda e spaventosa dell’autunno tedesco, dove il futuro non è mai scontato e la cosa più naturale da fare, a quel punto, e guardarsi indietro.
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