Cose interessanti che si trovano in qesto libro, raccontate per chi ha di meglio da fare che leggerlo
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Se la classe inferiore sapesse // Giulio Marcon

La lotta di classe riletta guardando alle persone ricche.

14/12/2024

Ci è capitato di dire sul giardino che c’è stata la lotta di classe.

Un’affermazione volutamente nostalgica, che per noi rappresenta la possibilità di cambiare il mondo, di avere gli strumenti per sovvertire i rapporti di forza. Una lotta che si sapeva con chi e contro chi fare (classe operaia e padronale, rispettivamente). Una lotta, che, a detta di molti, è stata persa – e quarant’anni di politiche neoliberiste sono sempre lì a ricordarcelo.

Il tentativo di rifondare politiche centrate sulla classe sembra, oggi più che mai, fallimentare, se non quasi reazionario: il millenarismo operaio ha un sapore amaro nel mondo globalizzato che brucia a causa del surriscaldamento globale. Persino l’ecologia politica, che unisce marxismo e pensiero ecologista, quando si focalizza sulle disuguaglianze evita di parlare di classi in quanto tali, definendole in modo statistico su un continuum, ad esempio, di emissioni.

Eppure qualche dimensione di classe, con le debite precauzioni, può forse essere recuperata. Uno spunto sul come viene dal libro Se la classe inferiore sapesse. Ricchi e ricchezza in Italia di Giulio Marcon.

Obiettivo dichiarato del libro è rifondare – sicuramente in Italia – uno studio dellɜ ricchɜ (potremmo dire dei ricchi, tenendo conto della distribuzione di genere). A differenza di paesi come gli Stati Uniti o la Gran Bretagna, infatti, in Italia esiste pochissima letteratura su chi sono, cosa pensano, cosa fanno e soprattutto quanti soldi hanno (contando evasione e paradisi fiscali) e questo crea dei seri problemi nel momento in cui le disuguaglianze e i loro effetti crescono. Dove prendere i soldi da redistribuire verso il basso se non sappiamo chi li ha?

Ma a parte questo aspetto di denuncia e di abbozzo di un’analisi delle persone ricche, il libro fa emergere la necessità di riprendere una certa dimensione strutturale nell’analisi della società. Per farlo, nel suo ultimo capitolo tenta anche il passo che abbiamo detto, ovvero recuperare il concetto di classe. Cosa non facile, tenendo conto di tutto il bagaglio storico che questo termine si porta dietro, non solo marxista ma anche nazionalpopolare: chi può immaginare nella società individualista attuale che esistano ancora delle “classi”, che hanno un sapore così da quartiere operaio anni ’70? Per di più, viviamo immersɜ in un pensiero che ci ripropone continuamente un’equità sociale fittizia:

Sono soprattutto l’ideologia noliberista e il pensiero sociologico più omologato a escludere in modo netto l’esistenza delle classi sociali. L’idea è che siamo ormai tutti “sulla stessa barca”: imprenditori e operai uniti nella stessa sorte, manager e precari in un solo destino.

Se le classi inferiori sapessero, p. 231

Marcon argomenta come ancora oggi tanto il reddito quanto il patrimonio di una persona sia in larga parte spiegabile dalla sua posizione sociale e dal tipo di lavoro che svolge: l’impiegatə pubblicə è più riccə dell’operaiə, lə liberə professionistə più dell’impiegatə, lə dirigente più dellə liberə professionistə. Questo non per cercare forzose connessioni tra un impiego e un certo stile di vita (che in generale, questo sì, non è così diverso per la maggior parte della popolazione), ma per delineare quelle che Luciano Gallino chiama comunità di destino, la realtà concreta delle classi:

Forse gli operai e gli impiegati hanno comportamenti e consumi omologati (entrambi stritolati dal consumismo), un’automobile più o meno dello stesso costo, hanno stipendi diversi ma non così marcatamente dissimili. Però – prendiamo l’esempio della pandemia – un operaio può prima o poi essere licenziato, se la fabbrica chiude, mentre un impiegato (pubblico) no.

ibidem, p. 233

Quello che secondo me è importante di questo concetto di classe sociale è che non è prescrittivo ma empirico. Dà infatti potere a persone che si trovano nella stessa situazione e dà loro la possibilità di riconoscersi in un destino, e quindi in una progettazione del futuro, comune. Non bisogna cercare di appartenere nel modo giusto alla classe, come una volta si poteva essere più o meno correttamente degli operai, quanto capire se ci si riconosce nella classe sociale che emerge analizzando certi fenomeni.

È chiaro dunque che il discorso sulle classi sociali non presuppone solo il tema dei redditi e dei patrimoni o la capacità di consumo. Altri fattori diventano ugualmente determinanti: la funzione sociale, l’identità collettiva, l’universo simbolico, il potere, lo status, la comunità di destino […] Sono diversi gli elementi che concorrono a disegnare i contorni di una classe sociale.

ibidem, p. 237

In questo senso credo che questo spostamento del concetto di classe da una realtà data per scontata a qualcosa che bisogna co-costruire con altre persone, e rendere reale a là principio di Thomas (se delle persone pensano che qualcosa sia vero, ciò sarà vero nelle conseguenze), si trovi tanto nel pensiero operaista quanto in analisi contemporanee come quella del Riot’ di Joshua Clover o nel pensiero per la lotta contro il lavoro, nella misura in cui identifica nuove forme di precarietà (vedi Lavorare meno. Se otto ore vi sembrano poche di Sandro Busso) – ma potremmo anche citare forme di denuncia e ricostruzione del problema della crisi abitativa quale quella portata avanti a Torino da Vuoti a Rendere.

Purtroppo ridare consistenza alle lotte sociali, cercando di mantenerle ancorate a una dimensione strutturale e quindi anche economica, non è un lavoro facile – ma ogni tanto guardarci e dirci che, forse, apparteniamo a una stessa classe sociale può aiutare.


Nota di colore: il libro l’ho preso in biblioteca, evviva lo stato sociale.

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