Cass Review: suprematismo cis e scienza medica

Un caso di ricerca sulla salute trans* usata come arma politica (contro di noi e le nostre infanzie)

19/11/2024
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Sono pochi i testi scientifici che trattano della salute delle persone trans*; ancora meno quelli che ottengono una qualche risonanza mediatica. La cosiddetta Cass Review, dell’omonima dottoressa Hilary Cass, è forse il testo più influente sulla salute trans* degli ultimi 10 anni. La ricerca, il cui titolo tradotto è Revisione indipendente dei servizi per l’identità di genere per bambinɜ e persone giovani, è stata commissionata dal Servizio Sanitario Nazionale britannico e pubblicata lo scorso aprile. Dopo la pubblicazione ha ottenuto il supporto tanto del partito conservatore quanto di quello laburista. Come diretta conseguenza ha portato alla sospensione della somministrazione di farmaci bloccanti della pubertà per le persone minorenni in tutto il Regno Unito. Non solo: sulla base della Review il National Health Service ha messo in discussione anche i percorsi per le persone trans* adulte, nonostante il documento non ne tratti.

Oltre ai suoi effetti pratici, la ricerca ha generato un notevole interesse, ed è diventata un tassello fondamentale nei discorsi intorno alle tematiche trans* nel mondo anglofono e non solo. È stata discussa dal primo ministro del Regno Unito, ma anche alle Nazioni Unite, ed è già stata citata dalla Corte Suprema degli stati uniti. Personalmente, non ho ricordo di nessun altro documento tecnico o scientifico così largamente citato nel discorso pubblico, a parte forse i report IPCC.

Non penso che la Review condurrà a un blocco nelle terapie pediatriche per le persone trans* nel mondo (anzi sembra che per ora stia avendo poco effetto, almeno negli stati uniti). Credo però che possa diventare un riferimento per le tattiche retoriche volte a smantellare la medicina per persone transgender. La Cass Review è un esempio di quanto lavoro si possa mettere nel sostenere l’idea che le persone trans* non esistono, non come le persone normali, che non sono soggettɜ con una voce o con dei diritti. Un cis-sessismo molto esplicito nei suoi contenuti, ma declinato in un registro medico e scientifico che sposta la conversazione sull’appropriatezza del metodo o sulla consistenza delle fonti, lasciando che passi il messaggio transfobico.

Letture e contro-letture della Cass Review

Ammetto di partire prevenutə nel discutere la Cass Review: trovo di per sé poco realistico che standard internazionali di cura, come i protocolli WPATH, possano essere così ampiamente “smontati” da un lavoro che, per quanto sviluppato su un arco di tempo non breve, è poco più di una revisione della (poca) letteratura già esistente. Non faccio poi mistero di essere un’attivista per i diritti delle persone trans*, inclusi l’accesso a cure mediche e a percorsi di affermazione di genere anche prima della maggiore età. Sarebbe difficile farmi cambiare idea in merito.

La mia lettura del testo non vuole e non può essere obiettiva (ma come vedremo, neanche la Cass Review lo è). Ma per esporre i miei pensieri è necessario iniziare con delle informazioni il più possibile condivisibili. Innanzitutto, è bene riassumere a grandi linee i contenuti del testo, per capire di cosa stiamo parlando. Quello che emerge dalla Review, in sintesi, è che: (mi scuso per la dose di contenuti transfobici)

  • il numero di persone piccole che accedono a servizi pediatrici legati a problematiche di genere è aumentato significativamente (persino di 100 volte) negli ultimi anni, specialmente per le persone AFAB (assegnate femmina alla nascita);
  • le persone che accedono a questi servizi presentano un’incidenza di problemi di salute mentale più alta della media della popolazione, specialmente autismo e problemi psichiatrici (depressione, disturbi d’ansia e alimentari) – questi problemi sono alla base dell’aumento delle diagnosi di disforia di genere, che non sono quindi veritiere;
  • l’adolescenza è un periodo critico per lo sviluppo mentale, e l’assunzione di ormoni non dovrebbe essere consentita in questa fase, poiché impedisce un normale maturamento cerebrale;
  • la maggiore disponibilità di materiali pornografici, ha aumentato l’incidenza di disforia di genere nella popolazione, insieme alla maggiore tendenza a sviluppare problemi psichici e psichiatrici;
  • non esistono sufficienti prove dell’efficacia dei bloccanti della pubertà nel favorire il benessere delle persone piccole che li assumono, e il loro uso può portare a seri danni fisici e dello sviluppo mentale. Finché non viene prodotta una base scientifica abbastanza accurata, vanno vietati o ammessi solo nell’ambito di ricerche mediche;
  • molte persone detransitioner testimoniano di aver ricevuto una falsa diagnosi di disforia, al posto del trattamento delle cause effettive sottostanti. Questo è il motivo della loro detransizione; bisognerebbe quindi posticipare qualsiasi percorso di transizione al completo trattamento dei problemi di salute mentale per evitare queste detransizioni.

Esistono numerose critiche alla Review (in lingua inglese), che essenzialmente indicano quanto siano vacillanti le prove scientifiche su cui si fondano le affermazioni di Cass. Per fare una contro-lista, riprendo da un articolo peer-reviewed (Grijseels, 2024) che avanza una revisione critica al metodo usato da Cass:

  • i trend che la Review identifica nella popolazione trans* minorenne non sono sostenuti da prove statisticamente significative. Questi trend ignorano la forte variabilità, tanto di aumento percentuale che di proporzione, di persone AMAB e AFAB a causa dei bassi numeri di persone censite;
  • l’incidenza di problemi psichici o psichiatrici è basata su misure non consistenti tra loro, su dati incompleti e su ricerche che indicano l’opposto di quanto affermato dalla Review – uno studio sull’incidenza di condizioni dello spettro autistico viene addirittura travisato per un refuso (un aumento di percentuale da 13.8 a 15.1% riportato come 1.8 a 15.1%);
  • l’idea di “periodi critici” dello sviluppo mentale, particolarmente l’adolescenza, non è legata alla possibilità di sviluppare un “cervello maturo”, concetto che non ha una definizione precisa in letteratura. Inoltre, le differenze nella struttura cerebrale identificate nelle persone trans* potrebbero non essere indotte dall’assunzione di ormoni;
  • l’idea che l’accesso a materiali pornografici aumenti l’incidenza di disforia di genere non ha alcun fondamento scientifico. Anche il nesso causale tra l’aumento di disagio mentale e l’aumento di trattamenti per disforia non è supportato da alcuno studio;
  • l’unico studio valutato come sufficientemente accurato dalla Review ritiene efficace e positivo l’uso dei bloccanti della pubertà. I rischi di danni fisici e mentali sono assunti da Cass, ma non supportati dalla stessa letteratura citata, che in alcuni casi sottolinea invece la loro efficacia nel prevenire comportamenti autolesionisti;
  • gli studi citati per indicare le motivazioni che portano alla detransizione sono affetti da forti bias nella scelta delle persone studiate (sono state contattate su forum con una visione negativa della transizione). Un altro studio, condotto con modalità meno inclini a sovrastimare le opinioni negative, indica invece lo stigma e la pressione sociale come motivazione più frequente delle detransizioni.

La review della review della review della…

Presentare i contenuti della Cass Review e delle critiche mosse, come ho appena fatto, è per me un esercizio necessario, ma al tempo stesso inutile. Necessario, perché bisogna prendere le misure “intellettuali” del testo, la sua caratura. Se mi approcciassi a una missiva della santa sede o a un discorso di un politico di destra, ad esempio, sarebbe inutile, anche controproducente, stilare una bibliografia e analizzare ogni paragrafo. Ma la Cass Review, al contrario, si presenta come contributo super partes, obiettivo, condivisibile tanto da chi era già contrario alle pratiche mediche per persone trans* (e vede i suoi genuini dubbi supportati da una ricerca accurata) quanto da chi era a favore (e deve adesso ammettere che ci sono delle “criticità”).

Il secondo passo, presentare le critiche mosse alla Cass Review in un campo altamente controllato quale quello accademico, tramite una pubblicazione peer-reviewed, serve a darci qualche arma retorica per far fronte a questo assalto iniziale. No, la Cass Review non è accettata uniformemente a livello scientifico, e presenta dei rilevanti problemi metodologici.

Detto ciò, non mi faccio nessuna illusione sull’utilità di questo tipo di retorica. La scienza non funziona tramite confutazioni definitive (men che meno quella medica) e a ogni critica a un’affermazione ne segue un’altra, che la ribalta, e così via. Già esistono critiche a critiche della Review (anch’esse su rivista con revisione paritaria), e non dubito che il “bollore” dell’argomento continuerà ancora per anni. Per fare un altro esempio, si era già consumata nel 2022 una serie di dritti e rovesci scientifici (battutarispostacontrorisposta) sullo stesso tema, e poco importa che uno degli autori dei paper contrari alle terapie per persone trans* minorenni faccia parte di un gruppo apertamente transfobico.

Forse, tra molto tempo, una volta che la lotta è sfumata sul piano scientifico, ci rimarrà un nocciolo che possiamo considerare scientificamente accurato. Ma se anche sarà meno passibile di essere ribaltato scientificamente, esso sarà sempre passibile di essere rigettato socialmente, e di non portare a cambiamenti nelle pratiche (basti pensare agli effetti cancerogeni del fumo, alla difficoltà di provarli e alla facilità di comprare un pacchetto di sigarette).

Cavalli di troia scientifici

Insomma, non ho le capacità di “smontare” scientificamente la Review, pur con tutte le riserve che mi sembra sia lecito avere nei suoi confronti. Non so e non posso, perché nessuna argomentazione logica o analisi delle fonti può essere definitiva nel campo della ricerca scientifica.

Quello che intendo fare è invece trovare il fondamento retorico che rende la Cass Review uno strumento così utile ad attaccare i diritti trans*. Molte persone, scientificamente impreparate nel campo tanto quanto me, hanno potuto usare il testo per ottenere dei risultati concreti, come abbiamo detto. E per questo non è stato necessario che la Review fosse accettata scientificamente, non si è aspettato che si sedimentasse, lavoro dopo lavoro, un qualche tipo di consenso medico: tutt’altro, le pratiche ampiamente utilizzate a livello internazionale sono state contraddette e rese illegali nel giro di pochi mesi, con un consenso politico bipartisan.

Cosa più importante, non è neanche servito citare i contenuti transfobici presenti nel testo. Non è servito dipingere le persone trans* come malate, affette da problemi psicologici o psichiatrici, portate alla transizione da problemi dello sviluppo o dall’indottrinamento da parte di medichɜ ideologhɜ del gender. Voglio dire, molte persone lo hanno fatto, ma hanno potuto fare fronte comune con persone e gruppi “imparziali”, presentabili e teoricamente ragionevoli. Alcune delle persone che sostengono le raccomandazioni di Cass non sono neanche, strettamente parlando, transfobiche, non hanno nessun pregiudizio esplicito nei confronti delle persone trans*, e possono essere a favore dei percorsi di affermazione per persone maggiorenni.

Ad esempio, un articolo in una testata inglese rivolta a un pubblico conservatore ma «civilizzato» e razionale, non cita tutti i problemi di salute che sarebbero legati alla transizione medicalizzata, né le cause che vengono supposte alla base della maggior parte dei casi di identificazione trans* delle persone minorenni. Quello che si sostiene è  invece una versione distorta del principio di precauzione, focalizzandosi soprattutto sulla scarsa qualità della ricerca medica relativa ai percorsi di affermazione di genere riportata nella Review, soprattutto (ma non solo) per quanto riguarda l’infanzia.

In questo senso, è proprio una mancanza a definire la retorica transfobica del testo, e non una presenza (vuoi di dubbi, pregiudizi espliciti, odio…). La Review manca di ideologia, manca di supposizioni, manca di pregiudizio, ed è dunque affidabile. La medicina per persone transgender minorenni manca di sufficienti studi, manca di sufficienti benefici per chi la pratica, manca di adeguate alternative rispetto ai bloccanti della pubertà, ed è quindi da fermare o vietare.

Questa mancanza è ovviamente fittizia, ma non è banale capire perché. La Cass Review è un cavallo di Troia, che – ci viene assicurato – non contiene alcun pregiudizio. Farlo entrare nello spazio pubblico è far entrare solo la scienza che mostra esteriormente, è solo far entrare un’analisi accurata delle nostre conoscenze sul tema, e sarebbe irragionevole chiunque si opponga alle conclusioni che porta, che rifiuta il dono di una tanto necessaria analisi.

Seguendo questa retorica, possiamo però capire un modo, che penso si riproporrà spesso nel futuro, in cui la retorica transfobica del testo può riuscire a passare in modo incontestato, “passando sotto ai radar” delle politiche liberali e progressiste (lɜ conservatorɜ, ovviamente, non hanno bisogno di convincimento).

Studi di controllo randomizzati

Fondamentale nel modo in cui viene raccontata la Cass Review è l’idea che la salute delle persone trans* non sia un male in sé, ma qualcosa che non merita di essere portato avanti perché non sufficientemente sostenuto dalla ricerca medica, al contrario di altre pratiche pediatriche. Il feticcio più citato è la mancanza di un un’analisi abbastanza scientifica (la review trova una sola ricerca soddisfacente a fronte di 50 studi analizzati), e in particolare di studi di controllo randomizzati.

Definiti lo “standard aureo” della ricerca medica, i Randomized-Control Trial (RCT) consistono nell’analisi degli effetti di un trattamento scegliendo di somministrarlo solo a una parte di una popolazione, estratta in modo casuale e spesso senza che sia noto neanche allɜ ricercatricɜ chi lo riceve. In questo modo, con numeri ovviamente sufficienti a garantire validità statistica, si riesce a escludere gli effetti di caratteristiche variabili dellɜ singolɜ pazienti, tra cui proprio il sapere se si è ricevuto o meno un trattamento, e a identificare l’effetto della pratica oggetto di studio.

Come sostengono Ashley e colleghɜ, però, questo tipo di ricerca non è applicabile alle persone trans* piccole. Innanzitutto uno studio RCT non è privo di distorsioni: vengono infatti selezionate solo le persone disposte a partecipare a uno studio di questo tipo, non intercettando parti potenzialmente consistenti della popolazione di interesse. Inoltre, se le persone che partecipano trovano il modo di capire se appartengono al gruppo che riceve o non riceve il trattamento, questo porta a sottostimare l’effetto del trattamento stesso, portando le persone nel gruppo placebo a uscire dallo studio o non seguirne più il protocollo.

Questi problemi sono insormontabili per quanto riguarda gli interventi di affermazione di genere farmacologici perché essi, com’è ovvio, producono effetti che sono visibili alle persone testate, rendendo impossibile nascondere l’appartenenza ai due gruppi. Anche modifiche metodologiche, come fornire i farmaci a entrambi i gruppi ma ritardando l’inizio della terapia per uno dei due, non riescono a tenere conto della necessità di ottenere queste terapie in momenti precisi dello sviluppo. La partecipazione delle persone trans* a uno studio RCT, alla luce di questi problemi, sarebbe quasi sicuramente non rappresentativa della popolazione trans* in generale, che per definizione è molto motivata ad accedere alle terapie affermative, portando a selezionare persone poco interessate o, per contro, senza mezzi alternativi di accesso.

L’unica cosa che uno studio RCT potrebbe provare è l’efficacia degli effetti degli ormoni e dei bloccanti di causare modifiche o di bloccare la pubertà, rispettivamente, cosa che non è passibile di dubbio. Anche il possibile studio degli effetti indesiderati di questi trattamenti, che pure sarebbe importante, è difficilmente praticabile in quanto le persone non sono normalmente ambivalenti rispetto a ricevere o meno un trattamento ormonale, condizione che potrebbe causare un’uscita di massa delle persone non trattate dallo studio, o la somministrazione di ormoni al di fuori dei protocolli. Uno studio di questo tipo metterebbe quindi in pericolo sia la salute mentale che la salute fisica delle persone, tanto più che la stessa idea di somministrare in modo omogeneo farmaci di cui, di norma, si cambia il dosaggio sulla base della necessità della singola persona, non sarebbe utile per studiare gli effetti di questi percorsi e causerebbe ulteriori problemi metodologici.

Ma, anche così, rischiamo di inserirci in un discorso che, al pari delle infinite review scientifiche, rischia di lasciar passare senza obiezione un dato fondamentale. Perché accettiamo che questo tipo di standard venga applicato nel decidere chi può o meno accedere ai percorsi di transizione? Perché accettiamo che uno studio con metodologia RCT sia ciò che ci è richiesto per poter intraprendere un percorso medico prima della maggiore età?

Non sto mettendo in dubbio la validità scientifica di questo tipo di analisi tout court, cosa che non voglio né posso fare (dall’alto della mia esperienza nulla in campo medico). Sto ponendo l’interrogativo sulla giustizia di questo tipo di ricerca. Oltre a criticare i rischi e i problemi metodologici di questo approccio, dovremmo chiederci se sia giusto richiedere a delle persone piccole di partecipare a questo tipo di ricerca, chiedere loro di poter potenzialmente ricevere placebo e di perdere l’unica occasione per bloccare sviluppi del loro corpo che non desiderano. Tanto di più nel clima di scarsità che permane rispetto ai percorsi medicalizzati, ancora più grave in questo momento in cui sembra che la possibilità di accedervi diventi sempre più incerta. Senza parlare, poi, del contesto di transfobia sempre più esplicita, da cui, legittimamente, alcune persone vorrebbero potersi sottrarre aumentando le loro possibilità di “passare” iniziando il prima possibile la loro transizione.

Nel sollevare questo tema mi rifaccio a un’esperienza passata, proprio della comunità LGBT. Durante l’epidemia di AIDS ci furono molte proteste nei confronti della sperimentazione dei farmaci antivirali, unico modo allora disponibile per sopravvivere alle complicazioni date dalla sindrome. Gli studi venivano portati avanti sulla base delle modalità RCT, col fine certamente nobile di produrre conoscenze scientifiche solide, ma condannando alla morte persone che altrimenti avrebbero avuto delle speranze di vita. A fronte di questo, lɜ attivistɜ fecero azioni di advocacy e di protesta contro i protocolli medici, arrivando a sedersi ai tavoli decisionali, ma anche portando avanti pratiche di scambio, autoproduzione e contrabbando di farmaci (come nei famosi Buyer’s Club).

Il punto è che la medicina non è necessariamente la cosa più utile per la nostra salute, e anzi questi due campi possono essere in conflitto. Scopro le carte e dico, molto apertamente, che gli standard di ricerca medica che sono proposti dalla Cass Review non hanno oggi come obiettivo la salute delle persone trans*, quanto l’applicazione di uno standard che, consciamente, non pensa possa essere raggiunto.

Salute trans*, questa sconosciuta

Con tutto questo, non sottostimo l’importanza della salute delle persone trans*, anzi. Parlando per esperienza personale, mi capita quasi giornalmente di interfacciarmi con la totale mancanza di supporto nei percorsi medici, con la nostra mancanza di conoscenze dei corpi non conformi e delle conseguenze che le terapie hanno sulla nostra salute. Non sappiamo nulla della salute delle persone trans*.

Paradossalmente, sono d’accordo con molto di quello che viene detto da Cass sulla mancanza di conoscenze sugli effetti di certe pratiche e sull’impossibilità di fornire un vero consenso informato di chi assume i farmaci. In un mondo diverso, la Review sarebbe potuta essere una denuncia della chiara violenza epistemica che subiamo, degli effetti di una medicina che non crea conoscenza e comprensione dei nostri corpi, ma solo pratiche per gestirli e farli passare il più efficientemente possibile nelle maglie di una società che li nasconde, sfrutta e opprime.

Dosaggi casuali, ignoranza degli effetti, assenza di conoscenze sulla vecchiaia trans*, sulla andro/menopausa, sulla somministrazione di ormoni una volta rimosse le gonadi e sugli effetti su fertilità e riproduzione delle persone trans*: queste sono tutte conseguenze della colpevole mancanza di studi sulle nostre vite. E per quanto la nostra comunità si attivi cercando di crearsi queste conoscenze, con reti di mutuo aiuto e fornendosi informazioni sul DIY, è innegabile che possiamo fare poco di fronte alla sistematica mancanza di ricerca e di fondi, che ci porta a non sapere quali siano gli effetti di terapie pensate in modo approssimativo da parte di una medicina che non tiene conto delle differenze tra corpi cis maschili e femminili, figuriamoci di quelli trans*.

Ma un mondo in cui la medicina si sforza di offrire migliori sevizi alle persone trans* non è quello che Cass vuole vedere. Invece di denunciare la colpevole noncuranza che tutt’ora permane circa il nostro benessere, la ricerca la porta avanti come motivo per creare ancora più oscurantismo, proponendo stili di ricerca che, come abbiamo detto, non solo non sono utili a comprendere le necessità delle persone trans*, ma porterebbero loro seri danni. Arriviamo quindi al fondamento transfobico della Review, su cui si basa tutta la retorica medico-scientifica che abbiamo analizzato, e che tiene insieme tutti i problemi metodologici e le contraddizioni già citate.

Supremazia cis

Il messaggio fondamentale della Review è che essere una persona trans* è un risultato non desiderabile.

Un risultato non desiderabile per la singola persona, innanzitutto, che nasce cis e non deve voler essere trans*: se questo accade, se una persona cerca di «diventare trans*» (noi ovviamente diremmo che cerca di trovare il modo di esprimere il suo essere trans* e di viverlo nello spazio pubblico) dobbiamo cercare tutti i modi per impedirglielo, rendendoglielo difficile e facendola desistere. In termini accettabili, questo viene detto come «cercare le cause psicologiche sottostanti» o «valutare la presenza di comorbidità»: non tanto per gestire davvero il malessere che può accusare una persona che inizia a seguire un percorso medicalizzato, quanto per trovare infiniti modi per mettere in discussione la sua scelta e per dilazionare la sua possibilità di autodeterminarsi.

Questo, incidentalmente, spiega l’efficacia della retorica scientifica della Review nonostante tutti i problemi, anche evidenti, nel metodo. Il punto non è creare una solida base di conoscenza da cui muoversi per cercare di migliorare un servizio, quanto accumulare dubbi e motivazioni, per quanto balzane come quella che lega pornografia e  identità transgender, per giustificare una decisione già presa in partenza. Ne è una rappresentazione la totale mancanza di analisi degli effetti del pregiudizio agito dallɜ medichɜ, accettando come opinione informata quella, portata da moltɜ pediatrɜ nello studio, che non esistano bambinɜ trans*.

Potremmo quindi pensare che un errore fondamentale nel discorso di Cass e delle persone che la sostengono sia, oltre al pregiudizio, il pensare che si “diventa” trans* come si diventa, per dire, malatə. Passando da uno stato di salute – l’essere cis – a uno di malessere – il provare della disforia di genere – che, se sufficientemente forte, causa una condizione cronica – l’essere trans*. Ma io non penso sia così. L’uso della lente medicalizzante, come nella Review, è uno strumento utile a convincere le persone cisgender, che accettano questa narrazione come neutra; ma si tratta invece uno strumento usato con consapevolezza. Chi supporta Cass e i discorsi gender critical non nega che esistano persone trans*. Tutt’altro, le moltiplica infinite volte creando fantasmi di medicɜ fautricɜ della post-verità, attivistɜ ideologichɜ che portano avanti approcci affermativi, grandi complotti internazionali che sostengono approcci medici pericolosi e basati su dubbie ricerche e che li mettono in pratica su corpi inermi. L’essenzializzazione non è quindi cancellata dal “diventare” trans*, ma anzi riprodotta e ingigantita. Non sul piano della singola persona che, in modo cis-normativo, non può essere essenzialmente trans* – quanto sul piano sociale, attribuendo il concetto dell’essere trans* a gruppi ampi e organizzati.

Esiste infatti un altro piano su cui essere trans* non è accettabile: il problema è non solo individuale, ma sociale. Esiste una società cis, una società naturale e sana, che sta subendo l’attacco di un’ideologia patogena, che la cambia e la corrompe. Il focalizzarsi così tanto sul modificarsi nel tempo dei numeri, della composizione e della comorbidità nella comunità trans*, vuole sostenere l’idea che l’identità trans* è qualcosa che cambia nel tempo, è qualcosa di artificiale e costruito, e non eterno e immutabile come la società cis ed eterosessuale, naturale e sempre uguale a sé stessa. Viene calata sulla società una gabbia che rende tanto delle persone forzatamente devianti quanto le altre forzatamente normali, rinchiuse in un mondo che può decidere anche per loro cosa è accettabile o meno fare. Anche in questo caso, il fatto che i discorsi gender critical siano così ben accettati da gruppi apertamente razzisti, fondamentalisti cristiani, fascisti e antiabortisti rappresenta esattamente il tipo di pubblico per cui questo discorso è utile, e che può portarlo avanti debitamente mascherato tramite lavori come la Cass Review. Il coltello che taglia via la parte trans* dallo spettro delle possibili identità umane rimane ben visibile come costante minaccia per tuttɜ.

Con una tattica tanto efficace quanto perversa, questa alterizzazione crea delle persone pericolose da attaccare, che affermano l’esistenza delle persone trans* e cercano quindi di imporre pratiche dannose sulle persone normali, quanto delle innocenti persone piccole da difendere, guarda caso, impedendo loro di essere trans*. Una protezione che, neanche a dirlo, è controllo, messa in riga e minaccia contro ogni fuoriuscita dai modi di utilizzare i corpi che l’eterossessualità, il capitalismo e il patriarcato vogliono.

Ritornando al campo specifico del lavoro, quello medico, ecco il fondamento di transfobia della Cass Review: la salute delle persone trans* è totalmente sacrificabile, ed è anzi necessario sacrificarla per garantire la salute delle persone cis. Salute che è basata esattamente sul fatto che non esista la salute trans*, che non esistano perversioni o malattie capaci di mettere in discussione lo sviluppo normale di chi deve riprodurre la forma di società che per noi è giusta, indipendentemente dal loro volere o dal loro benessere.

Chiunque venga via via persɜ, chi soffre e chi muore non è importante. È solo su questa base di cis-sessimo, di supremazia anti-trans*, che si può reggere tutto l’impianto della ricerca. Il resto è tappezzeria cui puntare per nascondere il vero messaggio.

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