Venerdì scorso abbiamo incontrato il Comitato Invisibile. Li abbiamo visti davvero, promesso! Se non ci credi, leggi la nostra nota a margine dell’incontro.
Benvenutə al crafting n.10!
Siamo il solito Collettivo Contesto e, a differenza del Comitato Invisibile siamo incensurat3 e piuttosto riconoscibili.
Del Comitato avevamo parlato in un articolo a proposito della violenza politica, mettendoli a dialogare con Judith Butler per arrivare a una discreta comprensione di come mai ogni azione politica sarà sempre, in un modo o in un altro, un’azione violenta.
Questa volta il discorso si è spinto un po’ più in là, aprendo un dibattito con un “compagno marxista” sull’eventualità, e anche sulla difficoltà, di produrre alternative al capitale stando proprio dentro questa forma sempre più pervasiva di capitalismo.
Il crafting parte da qui, da una canzone assolutamente stucchevole e da un libro che non abbiamo letto, l’ultimo discusso tomo di David Graeber e David Wengrow.
Da dove nasce la disuguaglianza
David Graeber (antropologo anarchico, autore di testi come Debito: i primi 5000 anni e una delle figure principali di Occupy Wall Street nel 2002) e David Wengrow (archeologo e autore) cercano di rispondere a una domanda centrale: perché accettiamo di rimanere nella nostra attuale condizione di dominazione? Per farlo i due autori provano a ricostruire una storia dei sistemi sociali.
La loro tesi è che un mondo prima non sia mai esistito. Il mito del buon selvaggio, che vive in una società antecedente all’avvento della dominazione in cui le persone erano naturalmente libere, ha una storia ben precisa, che parte dall’Accademia delle scienze, arti e belle lettere di Digione, attraverso Rousseau e il colonialismo, le società di caccia-raccolta care ai primitivisti come John Zerzan, per arrivare fino a noi.
Riprendendo le tesi di Pierre Clastres, Graeber e Wengrow descrivono invece una storia della politica come storia delle modalità con cui, in fasi alterne, si è resistito e si è accettato il dominio, scegliendo diverse forme di organizzazione sulla base delle proprie necessità.
Perché stiamo raccontando questo?
Perché, appurato che la storia è un alternarsi e perciò la nascita della disuguaglianza è un’idea fuorviante, Graeber e Wengrow compiono ancora un movimento fondamentale, che è la riformulazione.
Alla domanda originale dell’Accademia delle scienze “da dove nasce la disuguaglianza?”, i due autori, oppongono altre domande: perché oggi non sappiamo più scegliere qualcosa di diverso? Come abbiamo fatto a rimanere bloccat3 in un’unica modalità? Come abbiamo potuto perdere l’autocoscienza politica che era tipica della nostra specie? Come siamo arrivat3 a trattare il dominio e la sottomissione non come espedienti temporanei ma come elementi inevitabili della condizione umana?
Ricostruire l’immaginario
La risposta più veloce chiama in causa il realismo capitalista. La nostra strategia per uscire dal torpore (o dall’angoscia) realista è riappropriarci della dimensione politica di come vorremmo che le cose siano, non fermarci alla critica di come sono, per iniziare a creare futuro (magari in forma di giardino).
Certo che non è facile pensare al futuro in chiave politica. La via maestra al cambiamento, per come ce l’hanno insegnata, è quella marxista, con la sua riappropriazione dei mezzi di produzione da parte della classe lavoratrice. Peccato che oggi ci sia una massima confusione su quali siano i mezzi di produzione, quale sia la classe lavoratrice, se esistano anche solo la produzione e la classe per come le conoscevamo (di Marx, macchine e lavoro avevamo parlato qui). E se cercare di fare chiarezza su questi aspetti è importante, rischiamo però di lasciare indietro parti fondamentali della nostra vita che non hanno nulla a che fare con la produzione e il lavoro.
Questo è quello ci ha raccontato il Comitato Invisibile. Oggi non siamo capaci di rispondere politicamente alla penetrazione del capitale nelle nostre vite. Solo immaginando e poi sperimentando relazioni diverse, modi di comunicazione, forme di affettività e pratiche di cura diverse e non legate all’attuale sistema di potere, possiamo creare un’alternativa possibile, darci la possibilità di scegliere un sistema diverso.
Sempre seguendo il Comitato, dobbiamo anche cercare di immaginare un nuovo rapporto con gli esseri non umani e non viventi intorno a noi. Il collasso ecologico è una presenza ingombrante nella nostra vita (c’è chi lo chiama iperoggetto), e se non siamo ancora in grado di elaborare soluzioni alle sfide che ci pone, possiamo già provare a immaginare mondi diversi da quello attuale. Mondi in cui, a differenza di ataviche società “in armonia con la natura”, viviamo con le nostre tecnologie, con tutti i problemi ambientali che già affrontiamo e con tutte le nostre contraddizioni. Visioni diverse dei nostri luoghi, come quella sempre imperfetta di Hakim Bey a New York.
Detto in una parola, mondi solarpunk.
Cestone
🎧 A proposito di futuro, questo mese abbiamo chiacchierato con MetaMe nel suo podcast, a proposito di solarpunk, pedagogia, post-umano. L’episodio è su Spotify.
📘 Visto che comunque la teoria è importante, stiamo leggendo Riot. Sciopero. Riot di Joshua Clover.
I riot stanno arrivando, alcuni sono già qui e altri sono in preparazione. Non c’è dubbio. Ci vuole una teoria adeguata.
Se vuoi capire perché “non ci sono più gli scioperi di una volta” e perché perfino la vertenza più importante in Italia ti chiede di insorgere, questo è il libro per te.
🏳️⚧️ Tornando solo per un attimo a parlare di invisibilità (la nostra stavolta), il 31 marzo sarà la giornata della visibilità trans*, e siccome repetita juvant, ecco un po’ di rivendicazioni che portiamo con noi ogni giorno.
Crafting
/ˈkrɑːf.tɪŋ/ – noun. The activity of skilfully creating something such as a story. Examples:- So much care went into the crafting of the narrative.
- She saves fabric scraps and old buttons and uses them for crafting.
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