Valentina N.
Ci interroghiamo spesso, leggendo romanzi, sull’origine degli eventi narrati; ci chiediamo se sono ispirati alla biografia dell’autor*, se è tutta fantasia o se “rubano” dalla storia di qualcun altr*. E ancora, ci domandiamo cosa spinge un* autor* a scegliere una certa vicenda – se si tratta di una scelta razionale o di una pulsione, e in questo caso da dove viene e come prende forma.
Le storie, insomma, che riempiono le pagine (e le “pellicole”), e che restano intrappolate in una rete di parole e schemi narrativi, da dove vengono?
CollettivoContesto
Abbiamo deciso di ripubblicare questo articolo del 2021 per guadagnare un nuovo punto d’ingresso in un tema che ci interessa spesso e in profondità, cioè quello della violenza e nello specifico della violenza politica.
In questo pezzo il punto di vista sulla violenza è quello dell’opera narrativa – di quella che però non è opera di finzione, e perciò si avvicina molto più all’autocoscienza degli autori (i tre in questione sono Capote, Carrère e Lagioia) che al processo dell’immedesimazione creativa.
Come scrive l’autrice del pezzo originale: ogni storia nasce da qualche parte nell* scrittor*: c’è un tema caldo da cui si sente attratt* per le ragioni più disparate, qualcosa che sente il bisogno di raccontare. Nel caso della violenza forse questo risponde anche ad altri due bisogni: quello di fare esperienza della violenza senza esperire le conseguenze, com’è nel gioco di ruolo e nel carnevale, e quello di porsi in modo laico e affettuoso di fronte al fatto compiuto socialmente pubblicamente inaccettabile, che pure si rispecchia in ciò che di socialmente inaccettabile c’è dentro ognunə di noi, appunto la violenza.
Valentina N.
Truman Capote, A sangue freddo
A sangue freddo è un romanzo di non-fiction uscito prima a puntate sul New Yorker e poi nelle librerie nel 1966. Capote racconta dell’omicidio di Herbert Clutter, agricoltore benestante del Kansas, della moglie Bonnie e di due dei loro quattro figli, Nancy e Kenyon. L’autore lesse di questo caso di cronaca la mattina del 16 novembre 1959 sul New York Times e decise di recarsi sul luogo degli omicidi, dove intervistò gli abitanti dei dintorni e gli investigatori. Come si scoprì in breve tempo, gli assassini erano due uomini da poco usciti dal carcere, Perry Edward Smith e Richard Hickock.
A sangue freddo è considerato il primo romanzo di non-fiction. Qui Capote ricostruisce l’omicidio e le indagini che lo hanno seguito, presenta le persone coinvolte e il loro background, le motivazioni che hanno spinto i due uomini verso quel gesto e la reazione di chi è entrato in contatto con la strage. Nel metodo, è un romanzo che trae molto dalla cronaca, sia nella scelta dell’argomento sia nella voce utilizzata, un narratore esterno, onnisciente e imparziale. In quello che è stato definito «romanzo-reportage» e «romanzo-verità», Capote prende le parti di tutte le persone, senza prendere le parti di nessuna. Una postura che gli è costata l’accusa di voyeurismo da parte della critica e dell’opinione pubblica, un meticoloso distacco che tuttavia ha una funzione ben precisa: quella di dimostrare l’impotenza del romanzo davanti alla crudeltà umana.
Emmanuel Carrère, L’Avversario
Un’altra non-fiction letteraria sono i libri di Emmanuel Carrère. Nel suo più noto, L’Avversario, Carrère scrive di Jean-Claude Romand, che nel 1993 uccise la moglie, i figli e il giorno successivo anche i genitori, poi diede fuoco alla casa e tentò di uccidersi senza riuscirvi.
A colpire Carrère, che lesse la notizia sui quotidiani, fu il fatto che Romand venisse descritto da tutt* l* conoscenti e amic* come un uomo posato e affettuoso. Cosa può portare una persona del genere a compiere una serie di gesti così crudeli e violenti? Questa domanda spinse Carrère a dedicarsi al caso Romand, seguendo l’intero processo, scrivendo lettere all’assassino, intervistando le persone che lo avevano circondato, e infine e faticosamente a scrivere L’Avversario, ammettendo tra le altre cose una strana forma di rispecchiamento tra sé e Romand.
Ispirandosi a Capote, anche Carrère cercò di utilizzare una terza narrante onnisciente, completamente esterna e imparziale, ma l’esito non gli parve soddisfacente. Così decise di inserire la propria voce. A narrare, infatti, è Carrère stesso, che espone i fatti, le proprie azioni e, qua e là, i propri pensieri. E proprio per via di quel rispecchiamento nella menzogna e nella violenza, ogni accusa a Romand suona come un’accusa a sé stesso, e anche ogni tentativo di essere indulgente con Romand suona come una richiesta di indulgenza.
Nicola Lagioia, La città dei vivi
«Assolvere è comunque giudicare. Le spalle curve testimoniavano la lotta che in certi periodi sosteniamo per non lasciare che la nostra identità – o ciò che reputiamo tale – venga travolta dalla falsa immagine che gli altri hanno di noi.»
Il terzo testo è La città dei vivi di Nicola Lagioia. Siamo a Roma nel 2016, e vittima di un omicidio è Luca Varani, un ragazzo di ventitré anni. A dichiararsi colpevoli sono Manuel Foffo e Marco Prato, entrambi poco più vecchi di Luca. Lagioia ricostruisce l’assassinio violentissimo, il passato di ciascuno dei giovani coinvolti, racconta gli interrogatori a Manuel e a Marco, i programmi televisivi che hanno ospitato i genitori, la condanna dei due ragazzi. La voce narrante è una prima, Lagioia appunto.
In questo caso, ancora più che per Carrère, è l’autore a raccontare la storia del romanzo. Già nel 2016 gli è stato proposto di scrivere un reportage sull’assassinio, e le ragioni che lo hanno spinto ad accettare sono una rivelazione diretta, una porta che si apre nella storia dell’autore. È una scintilla biografica a dar via al fuoco dell’interesse di Lagioia, a far sì che il caso di Varani lo avviluppasse e ossessionasse al punto da scrivere un libro quattro anni dopo il reportage. C’è di mezzo l’età, la violenza, il passato.
Mycena
Bonus track: Edoardo Albinati, La scuola cattolica
Un altro libro che merita una parola è La scuola cattolica di Edoardo Albinati, di cui è uscito un adattamento cinematografico alla fine del 2021. In questo caso sembra ancora più evidente la ragione che ha spinto l’autore a raccontare.
La storia è quella di un liceo privato di Roma e dei ragazzi che lo frequentano. Figli di famiglie ricche, adolescenti che cercano un posto, che fanno i conti e si scontrano con le aspettative anche ma non solo legate alla loro maschilità, e performate di conseguenza. Tre di questi ragazzi sono quelli che nel 1975 compieranno il cosiddetto massacro del Circeo, stuprando due ragazze e uccidendone una.
Il racconto di Albinati si concentra sul contesto che rende possibile lo sviluppo di un tale pensiero, di un malessere e di una violenza che conducono all’estremo del massacro. E la ragione è che naturalmente Edoardo Albinati frequentava negli stessi anni la stessa scuola, e ciò che al posto di Ghira, Guido e Izzo avrebbe facilmente potuto esserci Albinati, che la possibilità della violenza estrema è in ognunə di noi, che alcuni uccidono e altri ne scrivono.
Valentina N.
Da dove nasce la non-fiction
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