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Klara e il Sole ruota attorno a una domanda: cosa ci rende umani?
Il premio Nobel Kazuo Ishiguro ha già affrontato il tema della biomacchina nel romanzo del 2005 Non lasciarmi. Qui siamo in un futuro in cui quasi ogni bambino possiede un AA – Amico Artificiale, una sorta di robot (anche se questa potrebbe non essere la parola più precisa) tecnologicamente molto all’avanguardia.
Klara è un’AA con uno spirito di osservazione eccezionale e un’empatia incredibile; a portarla a casa è Josie, una ragazzina che ha una misteriosa malattia. Il romanzo segue la crescita di Josie e, insieme, di Klara. A volte, nel corso della lettura, ti dimentichi che Klara non è umana – a ricordarlo c’è solo la voce che Ishiguro ha scelto per lei.
Nonostante al centro della narrazione ci sia una persona non-umana, in questo romanzo ci sono fede, sentimenti, speranza. Fino a quando si giunge a un confine in cui il lettore è costretto a chiedersi: cosa ci rende umani? Se un robot può pregare il sole, se un AA può sperimentare dolore o paura, se Klara può essere più empatica di noi, allora cos’è che ci rende umani?
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