Questa è la storia di due uomini. O meglio, è la storia di un uomo che indaga nelle identità dell’altro alla ricerca di (o forse in fuga da) un punto di contatto. È la storia parallela di Emmanuel Carrère, scrittore di fama internazionale, e di Jean-Claude Romand, che nel 1993 uccise la moglie Florence, i due figli e gli anziani genitori e appiccò il fuoco in casa rischiando la vita lui stesso.
La mattina del sabato 9 gennaio 1993, mentre Jean-Calude Romand uccideva sua moglie e i suoi figli, io ero a una riunione all’asilo di Gabriel, il mio figlio maggiore, insieme a tutta la famiglia.
La metamorfosi di Jean-Claude Romand
A lungo stretto in un universo di menzogne che si è eretto intorno, Romand ha raggiunto il limite. In un momento che non si riesce a identificare come un raptus o come il culmine di un piano discreto e calcolato, ha compiuto una strage destinata a rimanere nelle cronache francesi.
Durante il processo, Carrère si trova in platea con la stampa, a pochi metri da un Romand lucido alla sbarra, eppure fragile. È allora che iniziano ad emergere le profondissime contraddizioni di un uomo (Jean-Claude Romand) diviso tra un sincero amore per la famiglia che ha sterminato, una fede sempre più radicata, e una vita fatta di menzogne fino alle sue fondamenta. E allo stesso tempo emergono le contraddizioni di un altro uomo (Emmanuel Carrère), che lotta tra l’attrazione e la repulsione per l’omicida, tra la scettica ragione che lo spinge a non credere a una sola parola di Romand, e una immotivata empatia che somiglia a sua volta a una fede.
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