Due libri: Tecnologie per una nuova convivialità

26/06/2024

È difficile leggere Tecnologie conviviali di Carlo Milani senza riprendere la riflessione illiciana; e allo stesso tempo un testo fondamentale come La convivialità (Tools for Conviviality) del classico anarchico Ivan Illich, letto oggi sembra chiedere una riattualizzazione, esigere un suo: e dopo? Ecco perché le due note a margine vanno insieme, in un dialogo che (si spera) aggiunga qualcosa a entrambi i testi.

24Considerare Illich uno scettico è troppo poco. La sua visione più generale è quella della Società Conviviale, quella della condivisione collettiva di strumenti utili al benessere delle persone. Nell’ottimo riassunto della pagina Wikipedia italiana, le caratteristiche dello strumento conviviale sono:

  • Genera efficienza senza degradare l’autonomia personale
  • Non produce né schiavi né padroni
  • Estende il raggio di azione personale

Un esempio su tutti è la bicicletta. La critica di Illich parte dalla considerazione delle dimensioni di potere che determinati oggetti tecnici impongono nelle nostre relazioni con essi e nelle relazioni con altre persone mediate da essi.

La figura dell’esperto, ad esempio, nasce insieme alla complessità tecnica dello strumento, e porta alla luce un design delle relazioni che è iscritto nella materialità dello strumento. Nell’attualizzazione di Carlo Milani, questo mago moderno, coləi che dialoga con la tecnologia, che ne comprende i meccanismi e all’occorrenza la ripara è una figura essenziale, specie quando lo smartphone smette di accendersi o si brucia l’hard disk del computer con dentro mesi di lavoro. L’oggetto tecnico prevede, ha dentro di sé, la figura dell’esperto (vedi i telefoni a cui non puoi sostituire autonomamente la batteria o il calcestruzzo armato). E in queste situazioni di crisi, l’asimmetria della relazione tra noi e “l’esperto” si rende più presente: noi dipendiamo.

Nell’analisi di questa dipendenza Milani sembra più “moderato” (e forse figlio del suo contesto) di Illich. Se per Illich le tecnologie che generano dipendenza vanno abbandonate, per Milani questa asimmetria è un rapporto di potere fra gli altri che compongono la società, e va gestito in maniera conviviale, perché il potere non è necessariamente dominio.

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La convivialità per Milani è una via alternativa, la possibilità di collettivizzare conoscenze, strumenti e competenze su di essi. Vero è che oggi questa via è impraticabile, ostacolata da una serie di elementi che vanno al di là della sola asimmetria. La poca consapevolezza, la concentrazione di questo potere-attraverso-le-tecnologie, la sua istituzionalizzazione negli oligopoli del tech, e non da ultimo l’esigenza di instaurare col mago/esperto una relazione di tipo capitalista. Questi sono problemi da affrontare e, almeno in linea teorica, obiettivi verso cui muoverci facendo collettivi, laboratori, smanettando sui nostri dispositivi.

Per Illich, invece, questo processo emancipativo non sembra possibile. Nel suo pensiero sembra operare una separazione netta (ma non schematica) tra le tecnologie che è possibile riappropriare, e quelle che invece hanno integrato nella loro stessa struttura i meccanismi e i valori della società industriale da cui nascono (l’ottimizzazione del tempo, il ruolo dell’esperto, la razionalizzazione scientifica, per dirne alcune). Il sostrato materiale delle tecnologie, il loro stesso corpo, porta le tracce di queste relazioni, e perciò diventa dirimente saper guardare le tecnologie al di là di come ci vengono raccontate.

Un esempio di struttura in sé problematica è Internet. Al di là della retorica dell’immaterialità del digitale (virtuale appunto), la vera mappa di Internet è un insieme di cavi sottomarini. Tenerla sott’occhio è centrale dal punto di vista politico per pensare la società conviviale, ma anche per esempio dal punto di vista eco-politico, per porsi di fronte a quel fastidioso problemuccio che è l’impatto ambientale dell’online.1 Quanto possiamo riappropriarci di questa infrastruttura senza ripetere gli schemi estrattivi in cui si è sviluppata? (Ci stiamo riflettendo su…)

La codificazione del dominio non riguarda però solo le tecnologie materiali. In Illich le asimmetrie di potere prodotte dalle differenze di conoscenze tecniche e poi cristallizzate in ruoli sociali, riguardano anche gli strumenti immateriali come le tecnologie di governo e i saperi medici.2 Quest’ultimo ambito ci tocca da vicino quando lavoriamo alle politiche dei copri trans* e riflettiamo sulla nostra difficoltà di riappropriarci dei saperi e dei saper fare che desideriamo al di fuori di una relazione medico/paziente e norma-generale/individuo-anormale.

Illich indica la necessità di liberarsi di quelle tecnologie che non è possibile o utile riappropriare, che non sono desiderabili in un contesto anarchico conviviale o che violano platealmente il principio di coerenza tra mezzi e fini (come appunto le tecnologie di governo).

Dall’altra parte, Milani (anche attraverso il progetto C.I.R.C.E.) opera per lo sviluppo di saperi nuovi, di spazi dal basso, e di maggiore consapevolezza, soprattutto da parte delle persone più giovani, del portato politico che gli oggetti tecnici, e tecnologici in particolare, hanno per noi.

Su entrambi i testi ci sarebbe da dire molto più di così. Se poi hai voglia di leggerli, qui trovi il testo completo di La Convivialità di Ivan Illich e qui quello di Tecnologie conviviali di Carlo Milani.


Note: 

1 Nel quinto capitolo, Milani fa un discorso interessante sugli “ambienti tecnici associati”, che dialoga direttamente sia con Donna Haraway del Manifesto Cyborg, sia con la teoria dei concatenamenti nel materialismo vitale di Jane Bennet, a dimostrare che anche dal punto di vista teorico è sempre più difficile tracciare il confine disciplinare tra natura (biologico) e cultura (sociale).

2 Nel parlare di tecnologie prendiamo in prestito un passaggio di Romano Alquati, che dice: “la tecnica diventa una tecnologia quando è scientificamente razionalizzata, quando diventa una logia di quel fare, di quel saper fare.” (In Per fare conricerca. Teoria e metodo di una pratica sovversiva, p. 72)

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